CUBRE
Irrationalis rappresenta un punto di svolta importante per i Cubre, a partire dalla scelta di abbracciare l’italiano e chiudere, quindi, una prima parte di carriera segnata dall’utilizzo della lingua inglese. Sono molte le cose di cui parlare e le curiosità scaturite dall’ascolto di questo nuovo disco. Non poteva capitare migliore occasione, quindi, per fare il punto della situazione e comprendere cosa succede oggi all’interno di una delle formazioni più atipiche e difficilmente incasellabili, all’opera da quindici anni e ancora desiderosa di mettersi in gioco pur di seguire un percorso ricco di difficoltà ma, proprio per questo, stimolante.
Irrationalis segna un punto di svolta nella storia dei Cubre, in primis per la scelta di cantare esclusivamente in italiano. Da cosa nasce questa esigenza?
Sylus: Nasce dalla volontà di comunicare alla nostra audience, ma soprattutto a noi stessi, nella nostra lingua. Durante l’ascolto di Live 4 Need (il live del 2009) ci rendevamo conto di come “Involucro”, ai tempi la nostra unica canzone in italiano, ci parlasse più direttamente delle altre. E per una band che fa dell’adrenalina generata dalle pulsazioni sonore la sua prerogativa nel porsi verso “il fare musica”, era normale togliere il preservativo immaginario impostoci da un genere musicale che difficilmente fino ad ora era uscito dalla prigione di una lingua non sua. Ora abbiamo il 100% del “contatto” con il nostro sound. L’italiano ci gasa un casino, forse addirittura dovevamo usarlo già da Sights. L’inglese? Se avessimo frequentato l’università forse si poteva girare un po’ all’estero ai tempi e crearsi un seguito utile a mantenere l’inglese anche ora… che vadano a fare in culo i gruppetti di universitari, non ne è sopravvissuto uno. I palchi esteri li abbiamo sempre frequentati pochissimo quando nessuno di noi aveva figli o problemi di lavoro, figuriamoci ora.
Questa svolta influenza anche i testi? Pensate che l’esprimersi in italiano abbia cambiato in qualche modo il vostro modo di scrivere e di trattare determinati argomenti o, al contrario, sono stati i contenuti a richiedere l’utilizzo della nostra lingua?
Con l’italiano non te la puoi cavare con banalità, urla a caso, parole sbiascicate e spesso incomprensibili come molti fanno nel “rock spinto” anglofono qui da noi. Così come non puoi cavartela parlando di caproni infernali o di in che modo impiccarsi. Almeno per quello che vogliamo costruire noi, che non è musica che segue uno schema di genere precostituito. Non vogliamo rifugiarci in una zona di semi-incomunicabilità con l’ascoltatore. Di sicuro abbiamo dovuto curare i dettagli vocali collettivamente più delle altre volte. I contenuti non ne sono stati influenzati, i testi sono sempre stati una fotografia del nostro stato d’animo nel contesto temporale in cui sono stati scritti.
Oltre a questo, ho notato una maggiore vena progressiva, una ricerca di strutture in grado di andare oltre al tipico groove, pur senza perdere il marchio di fabbrica dei Cubre. Possiamo parlare di una precisa volontà di espandere il vostro linguaggio e di superare i vostri stessi limiti?
Con il passare del tempo, all’aumentare della confidenza mentale e fisica con i nostri strumenti, è stato naturale per noi ampliare il nostro spettro sonoro. Abbiamo avuto modo di ascoltare tanta musica di vario genere in questi anni, che ci influenzato in misure differenti. Tra le quali s’inserisce anche la vena progressiva di cui parli, da noi sempre accarezzata, che questa volta è stata una delle vie maestre del percorso compositivo. Non abbiamo forzato niente, più che una volontà precisa è stato dunque il nostro semplice istinto di “fare musica” che ci ha portato alla realizzazione di Irrationalis.
Come hanno reagito i vostri fan a questi cambiamenti? In che modo è stato accolto il disco? Avevate paure/dubbi prima di testare le reazioni?
Penso bene a livello di lavoro in studio, il disco piace. Le canzoni poi le testi dal vivo, è la prova del nove e ad oggi lo abbiamo suonato una sola volta. Comunque fino ad ora ci sono arrivati ottimi feedback. Sono le canzoni del nostro repertorio che attualmente suoniamo più volentieri quando siamo in sala prove. Questa sensazione positiva ci toglie eventuali paure e dubbi sul nostro presente, questi siamo noi: prendere o lasciare.
A ribadire il vostro legame con la scena hardcore nazionale, arriva un tributo a un gruppo che oserei definire seminale, ovvero i Concrete. Come siete arrivati a loro e cosa vi ha spinto a rendere omaggio alla formazione romana?
Igor (il nostro batterista) suonava con Cristiano dei Concrete nei Mudhead. I Concrete per noi in gioventù erano un punto di riferimento, ci esaltavano un casino sia dal vivo sia su disco. Avevano le nostre stesse coordinate sonore, ora anche linguistiche. Aggiungi al tutto il cordone ombelicale di amicizia e stima personale che ci lega ai loro componenti… insomma, al momento di scegliere di fare una cover di una band italiana ci sono venuti in mente per primi loro.
Siete in giro dal ’98, un periodo decisamente lungo che vi permette di dare un giudizio spassionato sui cambiamenti in seno alla scena musicale nazionale e non. Cosa rimpiangete e cosa invece apprezzate maggiormente oggi?
Personalmente parlando, mi rimprovero che come band siamo stati dei pessimi manager di noi stessi. Avremmo dovuto essere un po’ più smaliziati nel coltivarci degli orticelli e un’immagine fittizia necessaria per avere dei vantaggi. Abbiamo sempre solo suonato, senza curarci troppo del marketing, del fare le magliette, i video o tutte quelle stronzate che altri si inventano per far breccia nel nulla o quasi. La scena musicale italiana è in coma farmacologico, se non per rare mode passeggere che ogni tanto ancora fanno capolino qua e là. Se tre quarti delle band vanno in giro a suonare gratis, o peggio pagano, vuol dire che non si ha mercato, lo distruggono con questo modo di proporsi. Spesso frega poco o niente della tua professionalità a chi organizza concerti nei locali. Inoltre con i tempi che corrono, fai musica tua solo se sei benestante per permetterti un certo tipo di strumentazione e di qualità in studio. Se sei ambizioso devi andartene all’estero. Un concerto vale come dieci, venti prove in saletta, per crescere serve girare e non stare chiusi in una stanza. Quando iniziammo Igor ed io a suonare nel ‘94 non era così, si contattavano ancora le persone spedendo la classica busta di carta nelle cassette delle poste, quelle rosse nella piazza del paese. C’erano fermento, etichette che rischiavano, locali che ti aprivano le porte per farti suonare. Ora, dopo anni di degenero, i locali sono dei bunker per band come noi, le etichette ti chiedono i soldi per farti uscire un disco e appena chiedi un minimo di rimborso spese (una volta lo chiamavano “ingaggio”), la gente scappa. Gli mp3 e la superficialità dell’ascoltatore che è derivata dalla “conoscenza gratuita” ha dato il colpo di grazia alle band come la nostra. Penso di aver reso l’idea dell’ambiente in cui ci muoviamo.
A dirla semplicisticamente, sembrerebbe che dopo la sbornia da tecnologia a cavallo tra i due millenni, la scena estrema stia riscoprendo le proprie radici e cerchi un modo di traghettare nell’oggi la pulsione originale, recuperandone la vena emotiva. Credete che ci sia del vero in questa mia impressione?
Sì, può darsi, ma sono per lo più cose da vecchi marpioni, che si re-inventano ragazzini per mancanza d’idee. Penso lo facciano per continuare ad avere un seguito che riesca ad abbracciare un po’ di quella percentuale di persone che comunque per vivere hanno bisogno di questo tipo di musica estrema. A livello mainstream di gente nuova di qualità superiore alle band dello scorso millennio ne vedo poca.
Cosa gira oggi nel vostro stereo? Avete ancora tempo e voglia di seguire le nuove leve?
Ti posso parlare del mio di stereo e di qualche gruppo, anche se ogni giorno la musica cambia: i primi che mi vengono…Voivod, Area, Napalm Death, Zappa, Death, King Crimson, Tool, il post-core anni ‘90 e tutti i dischi che mi porto dalla mia adolescenza di metallaro, dal death metal al thrash. Certi giorni puoi trovare nel mio stereo anche blues, jazz, elettronica, di tutto. Le nuove leve di musica underground e non… appartengono per lo più a ritmi sludge, black, intimisti e rumoristi che mi hanno sempre poco interessato, strabordano di noia e di autocompiacimento. La scena italiana la trovo dispersiva per i motivi che citavo prima, anche se di gruppi validi ce ne sono eccome, ma non sono di certo quelli che vanno per la maggiore sulle riviste. Bisogna scavare e qualcosa in Italia comunque di buono lo trovi sempre, per fortuna e nonostante tutto.
Programmi per portare dal vivo Irrationalis? Come credete, se lo farà, che cambierà l’approccio live rispetto al passato?
Abbiamo inserito la parte visual e dei campionamenti tra un pezzo e l’altro, per rendere ancora più avvolgenti le nostre performance. Noi vogliamo suonarlo questo disco, ma ci rendiamo conto che non sarà facile, soprattutto se predichi in un deserto che si rianima solo quando passa qualche band estera. Viviamo alla giornata, vedremo cosa salterà fuori.
A voi le conclusioni…
Concludo invitandovi ad ascoltare Irrationalis sulla nostra homepage cubre.it, a supportare dal vivo noi Cubre e tutte quelle band che come noi cercano di proporre qualcosa di originale. Prometto che vi faremo scuotere la testa fino a staccarvela dal collo. Non lasciateci soli!