CTM Festival, 24/1/2025 – 2/2/2025
Premessa: che ci fossero state importanti difficoltà organizzative si era ben compreso dal fatto che a novembre ancora non era stato comunicato alcun programma del festival berlinese, finché a metà dicembre non era stato pubblicato un primo elenco di artisti, mutato in parte poco prima della giornata inaugurale il 24 gennaio, partita con una presentazione ufficiale, un episodio raro ma ritenuto necessario dai due direttori artistici Jan Rohlf e Remco Schuurbiers. In breve: assoluta mancanza di dialogo con i referenti istituzionali berlinesi, coi quali in precedenza e da anni era in atto una proficua collaborazione. Una modalità di ghosting molto praticata dalle nostre parti, ma nuova in terra germanica, poi l’informativa che indicava un drastico taglio del 50% dei fondi stanziati, nonostante la Città/Stato di Berlino goda di ampia autonomia economico-legislativa. Aggiungiamoci le elezioni politiche tedesche con lo spettro di una affermazione dell’ultra-destra di AfD ed il quadro è completo. Dunque, nonostante le previsioni e l’incertezza politico-sociale generata dalla crisi economica e dal quadro internazionale che inevitabilmente si ripercuote anche nella nostra bolla, ecco comunque il 2025 di ClubTransMediale, “a kaleidoscope of voices amidst our chaotic and shifting realities, mirroring to the confusing polyphony of our current moment”, come recita il sottotitolo.

Il nostro resoconto parte dai primi quattro concerti inaugurali della giornata di venerdì 24: Elischa Heller, sound performer di Zurigo, ha realizzato nella sala KuppelHalle del Silent Green una sorta di rituale pagano fra boati elettronici e voci elaborate tramite vocoder e auto-tune, ambiente acusmatico risonante sulle alte volte dell’ex crematorio, fumi di incenso a completare un concerto inaugurale/propiziatorio in chiave dark. Qualcuno ha commentato “speriamo bene”! Di seguito, nel medesimo spazio, è stato il turno di Plus44Kaligula, alias della giovane artista inglese Cally Statham, che – arrampicata su uno stage auto-costruito su misura e un albero di cavi, microfoni e neon psichedelici – ha intonato una serie di pezzi che se da una parte ricordavano la Björk adolescente di Sugarcubes, dall’altra rievocavano la tradizione glam britannica. Per i due concerti successivi ci siamo spostati nella più grande delle sale del Silent Green, la BetonHalle, per il set del duo di Barcellona Tarta Relena, composto da Helena Ros Redon e Marta Torrella Martinez: temi e modi della tradizione vocale mediterranea (catalana, italiana, provenzale, greca) rivisitati in chiave contemporanea, con un vasto arco di citazioni, da Hildegard von Bingen alle poesie di Federico Garcia Lorca: una gran bella scoperta per il pubblico berlinese e per me. Ha chiuso in contrasto totale e assoluto con Tarta Relena il set caustico, brutale e ambiguo dei beniamini di casa “33”: batteria, elettronica, basso, piano Yamaha con Alexander Iezzi, Billy Bultheel, in questa sede coadiuvati da Steve Katona e dal clarinettesta e vocalist Ivan Cheng (di Yamatsuka Eye lui ha il poster in cameretta): sul palco quattro soggetti dall’aspetto sordido per una idea di concerto che alternava momenti antitetici, violentissimi, romantici, introspettivi ad altri incandescenti e stratificati à la Battles più Boredoms, insomma un grandissimo casino e una bella chiusura della prima notte berlinese.
A volo d’angelo ora i concerti (fra la quarantina che abbiamo seguito) che più ci hanno colpito e convinto durante le altre nove giornate del festival.
Yara Mekaway presents “Sonic Forces”: lei è una compositrice elettronica nata al Cairo nel 1987 dove si è laureata in Storia dell’Arte e dove è da sempre coinvolta negli studi della filosofia Sufi, mentre la sua nuova composizione Sonic Forces presentata al CTM è piuttosto rivolta all’indagine sonora dell’ambiente metropolitano delle città nord-africane, una musica che trae spunto da cassette registrate per le strade, del Cairo in questo caso specifico, e rielaborate digitalmente in diretta dall’artista egiziana in trame sonore ricche di fascino concluse con la lettura di pagine tratte da “La Sapienza dei Profeti”, testo del grande poeta sufi, filosofo e viaggiatore Ibn Arabi (XII sec.). Un esercizio di sincretismo perfettamente riuscito fra passato e presente, testo e musica, fra mondo analogico e computer music.

Saadet Türköz & Eldar Tagi: Diamanda Galás, Yoko Ono e Sainkho Namtchylak racchiuse in un solo corpo risuonante? Ecco la cantante, performer, improvvisatrice kazaka Saadet Türköz al canto diatonico riassume in sé tutte le potenzialità e l’estensione vocale delle tre più note artiste citate. Cresciuta in Kazakistan ma presto rifugiatasi in Europa, vive in Svizzera dagli anni Novanta, ha incantato l’audience del ClubTransMediale per un live di potenza ed espressività straordinarie quanto a noi aliene. In questo è stata coadiuvata da Eldar Tagi, connazionale residente a Berlino, che con i suoi daxofoni, gli strumenti a corda autocostruiti e vari dispositivi digitali, ha dato una impronta tutta contemporanea all’impianto armonico imbastito dalla Türköz, con un grandissimo plauso finale tributatole da un pubblico in trance!
Dis Fig & Spooky-J: Dis Fig è una giovane cantante e dj nata nel New Jersey, che si è fatta le ossa negli ultimi dieci anni nei club underground di NY, incontrando infine il favore di personaggi come The Bug e, stabilendosi ora a Berlino, non si è più fermata. Il live in Betonhalle l’ha vista affiancata al batterista, produttore inglese Jacob Maskell aka Spooky-J, che è l’uomo dietro al celebrato progetto Nihiloxica e a Nyege-Nyege Tapes, l’etichetta con base a Kampala che sta letteralmente rivoluzionando la musica dell’Africa Orientale. Eravamo, insomma, di fronte a due artisti quasi agli antipodi nell’approccio musicale ma proprio per questa ragione il live elettrico, denso, scuro, potente aveva nell’incanto sonoro e percussivo di Spooky-J e nella vocalità portata agli estremi di Dis Fig la ragion d’essere definitiva.
Capitolo a parte per These New Puritans. I fratelli Barnett, Jack e George, io non li ho mai capiti e questo è certo un mio limite, ma anche in questa occasione appaiono come il classico gruppo brit post-tutto che, nonostante si fregi di essere underground, si nota lontano un miglio che vorrebbe a tutti i costi percorrere le strade dello star-system e del mainstream; che poi questo sia un desiderio di moltissimi (ma non di tutti, sia chiaro) è un altro discorso. Parlando nello specifico dell’ultimo disco presentato nella prima parte del live, direi che è stato accolto assai freddamente dal pubblico, che in realtà li ama da sempre. Il fondo è stato toccato con un pezzo che era praticamente un plagio dei Sigur Rós: organo a-pompa, tubular bells a cascata, xilophoni impazziti… poi si son ripresi con i brani assai più incisivi dei primi album, ma insomma: questo rientro sulla prestigiosa scena berlinese non è che sia andato poi benissimo.
Lunedì il programma si svolgeva nei rinnovati, ampi spazi dell’edificio del Radialsystem, sulla riva est dello Sprea, partner storico del CTM che anche quest’anno ha ospitato una serie di concerti dove musiche d’area contemporanea e tecnologia acustica teutonica si coniugano perfettamente.
In anteprima mondiale il celebrato compositore argentino Agoustin Genoud (1984) ha presentato “Liederbuch Der Apokalipse” opera strutturata come un libro di canzoni, liederbuch, che sanciscono attraverso otto movimenti “la fine della bianca abbagliante notte dell’Illuminismo” (Genoud dixit… e se lo dice lui che arriva dall’Argentina di Milei ci possiamo credere)! Centrale la performance vocale dell’ensemble formato da Audrey Chen, Anna Clementi, Alessandra Eramo, Nina Guo, Christian Kesten, Elisabetta Lanfredini, Ligia Liberatori e Ute Wassermann, le cui straordinarie voci processate elettronicamente dall’autore ma vieppiù lasciate libere di agire in modalità naturale (assecondate, inoltre dalla scenografia video curata da Dafne Narvaez Berlfein) completano un’opera potente che invita alla riflessione sulla nostra condizione di umanità condannata dalla conoscenza iper-tecnica, custodita da pochissimi, a una sorta di nuovo distopico medio-evo.

Segue Ashley Fure, compositrice e performer nata in Michigan nel 1982 che rappresenta ad oggi con Holly Herndon (lei letteralmente esplosa proprio qui al CTM una decina di anni fa) la nuova aristocrazia dell’elettronica performativa made in USA. Animal è la sua ultima furiosa realizzazione, vera e propria azione di smantellamento delle sicurezze a cui la musica elettronica, digitale, contemporanea o come la vogliamo definire ci ha abituato! Attraverso 2 semplici box di circuiti elettrici, 2 casse monitor naked sistemate in orizzontale, 8 microfoni cardioidi e da un sottile rettangolo di plexiglass di 1 mt per 70 cm , con cui “suonava” il sistema acustico sistemato su un piano di neon, ha dato vita a un set di oltre un’ora di sorprendente qualità ritmica e spessore sonoro inusitato. Citando l’opera di Ólafur Elíasson, un grande sole elettrico ha illuminato la scena mutando colore a seconda dell’intensità bpm impressa dai movimenti della lastra di plexiglass tenuta nelle mani di Ash: ad ottobre 2024 aveva incantato Unsound Cracovia, il miracolo si è ripetuto a Berlino.
Ancora al Radialsytem “Estradas”, live di Nidia & Valentina: all’interno di una architettura techno/house si è mossa la dj e producer portoghese Nidia, senza mai dimenticare le proprie origini angolane ed il ritmo incessante del kuduro, della terraxinha, della batida. In questa cornice afro-portoghese si è inserita la nostra inarrestabile Valentina Magaletti, che con le sue innumerevoli percussioni ha dato sostanza acustica alle dinamiche elettroniche di Nidia, per un set che in pochi minuti si è trasformato in festa.
Negli spazi del Berghain la violinista e compositrice messicana Gibrana Cervantes ha fuso la grazia della tradizione classica con l’intensità grezza del metal, rivolgendo un orecchio alla sperimentazione radicale e trasformando il suo violino in un mezzo per un’esplorazione sonora inusitata con tecniche innovative di elaborazione del suono, sfruttando infine il rumore grezzo come strumento compositivo essenziale. In questa prima mondiale c’era sul palco della grande, affollata Säule il boss dell’etichetta Tra Tra Trax, Colombian Drone Mafia, che ha riorganizzato la forza sonica di Cervantes in lunghi ipnotici drone immersivi.
Alle quattro di mattina è arrivato il black metal femminista delle Witch Club Satan, attraverso il quale è stata rievocata la violenza sulle donne bruciate sui roghi. Un live decisamente teatrale caratterizzato da una bellezza grottesca con costumi intrisi di sangue, nudità e personaggi miserabili, un vero e proprio sabba che ha scorticato l’archetipo della femminilità per mettere a nudo la mostruosa verità della misoginia di ieri e di oggi.
Al Radyalsistem la nuova generazione di musicisti elettronici inglesi di cui sono esponenti di rilievo Theo Alexander & Qow con “So Afraid To Show I Care” ha incontrato i suoni profondi della contrabbassista polacca Klara Pudlakova e la voce del grande Otteswed, quest’ultimo proveniente dalla scena cairota, quella per intenderci dei vari Maurice Louca, Msylma, 3Phaz, e proprio la partecipazione di Otteswed ha fatto fare al concerto dell’insolito quartetto il salto di qualità con una drammaturgia dell’alternanza fra elettronica scura contemporanea ed evocazione di un ambiente sonoro arcaico, riconducibile alle antiche madrasa del Cairo, luoghi dove da sempre si praticano la lettura, il canto, la recitazione.

MORE EAZE (Mari Maurice Rubio) & Seth Graham (Orange Milk Records): il duo ha presentato il su recente progetto audio visual “Night Of Fire” dove la violinista, multistrumentista texana e il video artista Seth Graham raccontano attraverso il suono disincarnato del violino, l’elettronica e “gelide immagini” registrate sul campo, l’universo umano devastato dell’America profonda, quella dei rednecks, dei bifolchi trumpiani, del junk food, di bambini descolarizzati con immagini girate fra distributori di benzina dismessi, feste a raduni motoristici, luna park scalcagnati, discariche di rifiuti… un immaginario tanto estremo quanto realistico, estetica brutale/psichedelica vicina ai film del regista Harmony Korine (da “Gummo” in poi un genio nel racconto dell’incubo americano). More Eaze e Seth Graham rendono una testimonianza coraggiosa, senza alcun intento moralistico su una umanità borderline che ha eletto a suoi paladini Trump e Musk.
Di nuovo al Berghain per tre concerti e togliendoci subito un “pensiero” partiamo dalla fine con quello di Bendik Giske: accolto dal pubblico come una star, cosa più unica che rara qui al CTM, il sassofonista norvegese (Oslo, 1982) residente a Berlino è su piazza dal 2019, quando esordì sulla prestigiosa Smalltown Supersound. Durante il suo solo al sax tenore ha offerto una sequenza di ripetitivi mantra melodici basati sostanzialmente sempre sulla medesima scala, coadiuvato da una serie di delay, sistemati sulla schiena, con cui modificava timbro e volumi come quando si ascolta esclusivamente il tocco delle sue dita sui tasti del sax. L’immagine cyborg con cui si è presentato sul palco ha rivelato subito un approccio modulato intorno all’hype, su cui ha costruito la sua identità fluida ok ma, in sintesi, un’ora di concerto monotono, abbastanza noioso, con enorme consenso di pubblico: mistero.
Straordinario invece il primo set, sempre dalla Norvegia, di Lasse Marhaug e Runhild Gammelsaeter. Di Lasse, che da trent’anni ci delizia con i suoi album e le sue eclettiche collaborazioni, sappiamo, e anche in questo live, in compagnia della scienziata e vocalist Gammelsaeter, ci ha accompagnato per circa un’ora e mezza, dunque ben oltre i canonici 55 minuti del CTM, nei meandri più oscuri della nostra psiche, un suono che ha lambito fondamentalmente il dna Pan Sonic di cui siamo tutti orfani, ma per fortuna Lasse c’è! Sicuramente suonare dopo cotanta potenza non ha reso giustizia alla nostra Caterina De Nicola, oggi di base a Zurigo, che con un breve live si è comunque fatta apprezzare con la sua elettronica tosta e dura … poi è arrivato Bendik.
Per completezza di racconto il CTM è, oltre ai concerti, anche approfondimenti, talk e installazioni, alcune delle quali collegate al Transmediale (rassegna gemella dedita alla ricerca ed all’applicazione tecnologica in ambito artistico) iniziative che coinvolgono luoghi di cui finora non ho parlato per ovvi motivi di spazio, ma che riguardano edifici importanti per la geografia cittadina alcuni immensi come la ex sede della Radio di Stato della DDR, ora denominata MONOM, luogo che per chiunque voglia conoscere Berlino è fondamentale visitare anche al di là della programmazione del Festival essendo sempre aperto con atelier, studi di registrazione, mostre d’arte.
Ancora una volta al Radialsystem per ganavya (tutto in minuscolo): la mirabile vocalist e multistrumentista, nata a New York ma cresciuta nello Stato indiano del Tamil Nadu, di cui è originaria la famiglia, ha offerto un magnetico live in compagnia di contrabbasso e arpa elettrica comandata da un sofisticato sistema chase bliss con la sua rispettosa reinterpretazione dei canoni vocali della tradizione Carnatica. Spiritualità espressa in canto collettivo, emozioni profonde senza mai spingere sul tasto del virtuosismo. Il suo secondo album Daughter Of Temple è un’opera di straordinario spessore con il coinvolgimento di grandi musicisti indiani come Ganesan Doraiswamy e M.S. Krsna e del gotha del jazz contemporaneo più avventuroso, ad esempio Shabaka Hutchings, Wadada Leo Smith, Esperanza Spalding, Vijay Iyer… concettualmente e musicalmente nel solco di figure come John ed Alice Coltrane, ma appena dopo questo bagno di mistica trascendenza, una camminata di pochi minuti e nei sotterranei scuri, umidi, labirintici dell’Alte Münze (antica Zecca di Stato tedesca) si sono aperti gli inferi dell’elettronica più estrema che solo ostensivamente si possa immaginare! Due nomi su tutti: la coppia harsh di Modulaw e Loto Retina che ha suonato il suo nuovo, assai cosmico, Winter Improzzz: CTM e Berlino sono così, dall’Eden all’Averno in un attimo.

Gli ultimi due concerti di domenica 2 febbraio nel monumentale Teatro Volksbühne di piazza Rosa Luxemburg sono stati all’altezza delle aspettative: ha aperto Abdullah Miniawy (1994), esponente di rilievo della Primavera Araba egiziana, scrittore, poeta e straordinario cantante dell’ensemble Le Cri Du Caire, qui affiancato da due trombonisti, presentando una delle “cose” più sorprendenti di queste 10 giornate berlinesi, una sorta di rivoluzionario riassunto dei canoni della tradizione musicale araba: difficilissimo raccontarlo a parole, ma si immagini l’Egitto di Om Kalthoum che incontra gli amburghesi Meute. Concerto epifanico e notare bene che il 14 marzo a Roma negli spazi del museo MAXXI, a cura dell’associazione “Miniera”, Abdullah Miniawy sarà in duo con Carl Gari per presentare il nuovo album Shoot The Engine.
CTM 2025 ha calato il sipario con, dalla gotica (?) Arizona, Nika Roza Danilova in arte Zola Jesus (origini russe, nata a Phoenix 1985) per un recital magnetico di solo pianoforte, lei che progressivamente si sta mutando in una sorta di novella Diamanda Galás, meno radicale forse, ma senza mettere limiti perché lo svolgimento del concerto ha dimostrato quanto le sue potenzialità vocali siano estese e gli orizzonti alla sua portata ampi. Concerto molto bello con due sentite citazioni: la prima per David Lynch, cui ha reso omaggio con una versione incantata di “In Heaven” dallo score di Eraserhead, la seconda, col pensiero rivolto alla guerra di Putin, interpretando incazzatissima un brano della tradizione folk ucraina in chiave dark espressionista, grande Zola.
Rapida considerazione finale: nonostante le difficoltà dovute ad un clima politico tremendo anche qui nell’insel di Berlino, CTM si è dimostrato presidio di culture-altre, custode forte della tradizione di una città intimamente “tragica” ma storicamente sempre all’avanguardia nelle arti come nella proficua convivenza di diverse genti.