CRISTIANO CALCAGNILE, St()ma
Mi trovo tra le mani un disco, un vinile. Cartonato bianco, solido, corposo eppure leggero. In copertina solo una parola: St( )ma. Intravedo già tra quelle due parentesi che simulano una “O” il bisogno di riduzione estrema, direi di vuoto, di catarsi. Sul retro trovo le indicazioni che mi servono: il disco in solo del bravissimo batterista Cristiano Calcagnile (un carissimo amico, anch’egli batterista, me ne aveva parlato qualche mese addietro). Esce per We Insists! Records, la coraggiosissima e per molti versi miracolosa label che conosco già (qualche tempo fa, sempre per The New Noise, ho recensito il bellissimo lavoro di Giancarlo Nino Locatelli su Steve Lacy, Prayer, realizzato con Pipeline 8).
Apro tutto con molta attenzione. Mi si svela un mondo brulicante di immagini, frammenti e pensieri che si annodano tra loro in maniera apparentemente casuale e caotica. Ho bisogno di ascoltare, sentire. Ma devo dipingere, devo completare una serie di acquerelli per una mostra imminente. Il bisogno di guardare dentro quelle due parentesi però è fortissimo, almeno quanto quello di intingere i pennelli nell’acqua e poi nei pigmenti mescolati a gomma arabica. Penso che forse posso fare entrambe le cose. Preparo la carta sul tavolo da lavoro, monto il giradischi e le casse sul tavolo degli attrezzi, tra i pennelli e le spatole, quello è il suo posto. La puntina inizia a scorrere come le setole che inumidite si raggruppano e affusolate iniziano a tracciare linee sottili. La musica si muove su una serie di sibili, uno sciame di suoni che si fanno sempre più insistenti, presenze che si vanno palesando. Segnali (titolo del brano che apre la suite) che annunciano quel bisogno di catarsi, l’approssimarsi di un luogo chiamato “casa”, come spiega lo stesso autore nelle note. St( )ma è infatti un lavoro dedicato alla madre e alla sua trasformazione in entità spazio-temporale. Il luogo e il tempo del respiro primordiale. Mi vengono in mente “Ghen” ovverosia l’arte “Genetica” di Francesco Saverio Dòdaro e le sue ricerche sulla comunicazione verbo-visiva, prenatale e archetipa tra madre e figlio.
Calcagnile agisce in un microcosmo fatto di vibrazioni molecolari, testimonia l’avvento, la nascita, e ne amplifica i suoni embrionali o minimi come lo schiudersi degli “Stomi”, che consentono alle piante di “respirare”. Esseri viventi microscopici, insetti si muovono in spazi ridottissimi e paiono danzare su ritmi incostanti, dispari. Il loro passo, come in un caleidoscopio sonoro, produce tonfi grevi, l’incedere vorticoso del suono delle pelli genera risonanze molteplici, armonici che divengono struttura armonica.
Come suggerisce Calcagnile, vi è però anche un riferimento alla Stomia come pratica chirurgica. Un’apertura nel corpo, un bocca, un ingresso, l’inizio di una ricerca dentro se stesso, dentro la carne, dentro i meccanismi misteriosi della vita stessa. Mai psicotropo, questo lavoro rimane lontano dal mondo astratto delle idee, è al contrario legato indissolubilmente al mondo esperienziale della materia, all’oggettività dell’esistente e del tangibile.
Intanto l’acqua densa di colore si muove libera. Cerco di guidarla mentre vedo le piccole pozzanghere stagnare tra le rughe del foglio che piano le drena. Mi fermo e guardo il vinile che gira mentre i suoni metallici di campane, ottoni, metallofoni vari suggeriscono presenze evanescenti. Questo lavoro offre uno spettro incredibile di frequenze e timbri grazie ad un set formidabile (batteria, percussioni, drum table guitar, effettistica, glockenspiel, aerofoni lastra elettrificata…) sul quale ci si può formare un’idea precisa nei contenuti extra del DVD allegato al vinile. C’è anche un bellissimo filmato, realizzato dal regista Bruno Pulici: ha quasi un’impronta documentaristica (in alcune scene mi ha ricordato l’ape di Kieslowski che viene fuori a fatica dal bicchiere di sciroppo in “Decalogo 2”) ma al tempo stesso è allucinato, racconta in modo empirico l’incedere della vita, tra il passo dell’insetto e il flusso linfatico nei pistilli o negli stomi.
St( )ma è un’esperienza complessa come un organismo vivente, un’opera completa che non cade nei difetti tipici dei dischi in solo. Non ci si annoia mai, non si subisce alcun virtuosismo, la narrazione composita eppure godibile offre continue vie di fuga tenendo comunque l’ascoltatore in una condizione sospesa, perennemente in attesa di un equilibrio che non arriva mai.
Il braccio meccanico ha portato la puntina fuori dai solchi mentre il colore è secco sulla carta. L’acqua è evaporata e l’armonico che girava nel mio studio è svanito. Penso di aver terminato il mio lavoro.