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CRIPPLED BLACK PHOENIX, Banefyre

I Crippled Black Phoenix tornano con un nuovo disco, ad essere precisi il dodicesimo album dal 2004, forti di nuovi sodali ad affiancare Greaves e Kordic, a loro dire persone coinvolte al cento per cento nello spirito di questa longeva formazione. In particolare, su Banefyre (antico inglese per Bonfire, ovvero falò) vengono affiancati dal cantante svedese Joel Sagerstedt, la polistrumentista Helen Stanley e il chitarrista Andy Taylor. Torniamo però al titolo del disco che più dei falò richiama i roghi delle streghe e in generale la pulsione a cancellare con il fuoco chiunque si ponesse in passato contro gli interessi dei più sia sul piano politico, sia su quello religioso: a partire dalle parole di Shane Bugbee con cui si apre il disco per arrivare agli evidenti rimandi al tema nei titoli, tutto qui richiama alla mente la figura dell’outcast posto ai margini e perseguitato, uomo o animale che sia. Proprio degli animali ci parla la copertina disegnata da Lucy Marshall in un capovolgimento dell’ordine attuale e, in fondo, la natura è stata un’altra importante ispirazione per la scrittura anche a causa del lockdown e della conseguente riappropriazione di spazi lasciati sguarniti dagli esseri umani. Tutti questi spunti e i differenti temi, nonostante il filo comune che li lega, hanno permesso ai Crippled Black Phoenix di realizzare un lavoro che sta in perfetto equilibrio tra un approccio ormai riconoscibile e l’esigenza di progredire lungo la propria strada, per un’esperienza di ascolto ricca di spunti differenti e momenti dal forte impatto emotivo eppure sempre riconducibili alla ricca discografia di un nome dal percorso quasi ventennale. In alcuni momenti appare impossibile non lasciarsi avvolgere dall’atmosfera di Banefyre e in generale il disco, pur nella sua varietà, colpisce nel segno e non deluderà le aspettative dei molti ascoltatori di lungo corso. Per contro, la voglia di ripartire alla grande dopo i mutamenti nell’organico e di non ripetere quanto detto in passato rischia di diventare in qualche modo anche il punto debole di un’opera che per la sua stessa natura ambiziosa potrebbe mettere a dura prova l’ascoltatore meno voglioso di seguire il quadro d’insieme e più propenso a distrarsi. Potremmo definirlo un album di passaggio atto a mettere in mostra le nuove potenzialità di una realtà così particolare che ancora una volta si sfida e riesce a superare senza deludere le alte aspettative, ma al sì convinto va aggiunto l’augurio che nel prossimo futuro tutti questi spunti trovino una maggiore quadratura e certi angoli troppo acuti vengano smussati per creare una maggiore coesione interna che permetta di raggiungere le vette cui l’attuale compagnia dimostra di poter ben ambire. Noi continuiamo a fare il tifo per loro e a sottolineare come di simili realtà ci sia sempre più bisogno.