Una creatura dai mille volti: le sperimentazioni elettroniche di Daniele Mana
Ci sono artisti che più di altri ci stupiscono per la loro sensibilità. Non mi riferisco a una connotazione puramente emotiva del termine, piuttosto alla facoltà di leggere il volto simbolico del mondo e di plasmarlo attraverso la propria creatività. In questo contesto si inserisce il lavoro di Daniele Mana, musicista e producer torinese che da anni ha fatto della sperimentazione e della continua ricerca di nuove sonorità il suo tratto distintivo. Sono tanti e diversi i progetti e le collaborazioni che lo hanno visto protagonista, tutti accumunati dalla sua capacità innata e visionaria di assorbire ciò che lo circonda e trasformarlo in composizioni dal sound riconoscibile e personale.
Amplificare la realtà: la dimensione collettiva
Non è un quindi un caso, ad esempio, che il duo assieme a Max Casacci dei Subsonica si chiami MCDM, acronimo che sta per Materia Che Diventa Musica, oltre che per i loro nomi e cognomi.
MCDM ha all’attivo due dischi, Glasstress (2016) e The City (2017). Il primo prende nome dall’omonimo evento collaterale alla Mostra di Venezia, ideato nel 2009 da Adriano Berengo e al quale Mana e Casacci furono invitati a partecipare nel 2011, per far loro realizzare un’installazione sonora che potesse fondersi con le opere presenti e con lo spazio espositivo circostante. Il risultato fu un delicato e affascinante documentario musicale dei gesti che conducono alla creazione di qualcosa di fragile e prezioso. Non ci sono preset o drum machine, ma solo il campionamento degli utensili e del vetro che prende vita durante una sessione di lavoro nella fornace del Berengo Studio di Murano. Puro e cristallino, come le meravigliose tracce che ne sono scaturite. The City, invece, è un mosaico di rumori, suggestioni e linguaggi sonori differenti che mescola jazz, elettronica e hip-hop per dar vita ad una sorta di “fotografia” dell’anima pulsante di Torino, dove vivono entrambi. L’architettura sonora del disco fa pensare a un lungo messaggio d’amore di un uomo che ripercorre la storia con la sua amata: ci sono le luci dell’alba che si mischiano ai rumori delle saracinesche del centro, i suoni delle passeggiate nel cuore pulsante di Porta Palazzo, ci sono gli odori, le risate, le urla, il silenzio della notte, in una trama sostenuta da fiati jazz e tessiture elettroniche, resa ancora più speciale dalla presenza di personaggi del calibro di Enrico Rava, Gianluca Petrella, Enrico Matta ed Ensi, per citarne alcuni.
Sempre Torino è il centro di un altro interessante progetto: A Great Symphony, la sonorizzazione in realtà aumentata della città, promossa da Associazione Xplosiva e dal British Council, a partire dal QR Code di ognuno dei luoghi-simbolo della metropoli. A Great Symphony è stata diretta da Steve Goodman/Kode9 e ha visto coinvolti nomi noti della scena elettronica locale, come – tra gli altri – Bienoise, XIII o OOBE. A Daniele è stato affidato il Polo Contemporaneo Lingotto e la Passerella Olimpica, dandogli modo di dimostrare ancora una volta la sua abilità interpretativa grazie ad un brano che assorbe sia la dimensionalità geometrica dello spazio, sia la componente sonora dello stesso. La sua naturale propensione ad amplificare le percezioni lo ha inoltre reso parte, insieme a Sergio Ricciardone, di una perfomance di arte contemporanea nella lingua dei segni… Ne “La terza conversazione” l’artista Francesca Grilli lavora sul rapporto che i sordi hanno con la musica: in scena un compositore e un cantante sordo interpretano, ognuno a suo modo, il suono. In questo contesto Mana e Ricciardone si sono occupati della creazione dei “rumori”, dando vita a un background “audio” in cui viene reinventata l’azione dell’ascolto, creando una nuova alchimia tra musica, rumore e percezione sorda.
Parlare proprio di tutte le collaborazioni di Daniele richiederebbe una trattazione a parte: non possiamo però non menzionare gli One Circle, nei quali suona assieme a Lorenzo Senni e Francesco Fantini a.k.a A:RA. La loro unione ha determinato qualcosa di completamente nuovo, una miscela di stili e generi che Resident Advisor ha definito “una collisione selvaggia sospesa tra i Daft Punk, Nathan Fake e i Sunn O)))”.
L’elettronica mutante di Vaghe Stelle
Oltre alla dimensione collettiva esiste quella individuale: Vaghe Stelle, progetto dal sound mutante, caratterizzato da synth, loop, rumorismi, e contraddistinto da numerose influenze (r’n’b, krautrock, hi-hop, jazz e post-rock), che animano una cosmic techno sempre sognante, malinconica, anche un po’ cupa in alcuni episodi, permeata da continui rimandi cinematografici e letterari, in particolare al mondo futurista e cyberpunk.
Con questo nome, quindi, Mana sintetizza per simboli uditivi concept complessi ed elaborati, temi che esercitano un certo fascino sulla sua mente e che rielabora, facendoli propri: basti pensare, per fare un esempio, agli ultimi due lavori (prodotti dalla Other People di Nicolas Jaar), Abstract + Sound (2015) e The Full Stream Ahead: The Prologue (2016). Il primo è un mini lp che prende il titolo da un dipinto di Giacomo Balla, esponente del movimento futurista, e ne riutilizza i temi di velocità e movimento, ribaltandoli però sul mondo contemporaneo, mettendo al centro dell’analisi il rapporto tra social media e corpo: così come i futuristi cercavano di rappresentare tutti i momenti e i movimenti in un’unica immagine, il mondo digitale ci permette di sdoppiarci, sommarci, creando mille identità uniche e diverse. Il risultato è un disco claustrofobico, irregolare, denso di influenze che esplodono in momenti oscuri e percussioni industrial come in “25 Minutes” o in intermezzi più malinconici e lucidi, come “Hyper” e “Tempo”.
Il concept dell’ep The Full Stream Ahead: The Prologue si basa invece sul lavoro del mangaka Tsutomo Nihei e, in particolare, sul suo capolavoro “Blame!”, che cala l’azione all’interno di un universo in cui le macchine hanno preso il sopravvento sull’uomo, un mondo inumano caratterizzato da mega-strutture che si regge su un’enorme sequenza di livelli che si estendono in tutte le direzioni, in perpetua espansione, ed è fatto di rovine postindustriali e scenari dall’architettura stravolta. Il protagonista del fumetto è Killy, eroe taciturno e misterioso, alla ricerca di un potenziale eletto per salvare la Terra. Nell’ep Vaghe Stelle si sostituisce a Killy, compiendo un viaggio solitario che si fonda su decostruzioni ritmiche surreali, synth magnetici ed espansi, vortici e passaggi con zero melodicità, quasi del tutto alienanti.
Potremmo quasi chiamarla sapio-techno ma forse è proprio questa “costrizione” in un concept di altri che ha in qualche modo schiacciato la vena creativa del producer e rende The Full Stream Ahead: The Prologue l’episodio più “controverso” della sua carriera.
La post-sintesi di Mana
Questa lunga premessa è stata necessaria per meglio comprendere Creature, l’ep col quale Daniele debutta sulla Hyperdub di Kode9, presentandosi direttamente come Mana. Questa scelta è importante, perché ci fa intuire che ha voluto fare un passo avanti: se infatti già con l’album Sweet Sixteen (2014) aveva lavorato sull’introspezione e sulla tematica del ricordo, schiudendoci in qualche modo la porta su frammenti di vita personali, con Creature la porta si apre, lentamente, delicatamente. Forse, dolorosamente.
Bastano pochi secondi dell’apertura “Fade” per capire che stiamo ascoltando una visione o, meglio, una rimembranza che Mana dipinge con le dita attraverso i suoi synth digitali. Schopenauer distingueva tra un ricordo razionale, inteso come un’esplicita rievocazione di scene del passato, e un ricordo puramente intuitivo, che è nient’altro che la sedimentazione di un’esperienza passata nel presente. Le atmosfere di questo ep sembrano essere una sintesi di queste due tipologie di processo mnemonico: da un lato si utilizza la musica come “stream of consciousness” per far prendere vita a episodi del passato e, forse, esorcizzarli; dall’altro lato ogni traccia è una sedimentazione di esperienze pregresse, un mosaico di pensieri, percezioni, materiale uditivo, materiale visivo che diviene una somma di influenze, una sorta di fotografia del momento presente, fatta con una di quelle macchine che permettono di mandare indietro la pellicola e scattarci sopra più e più volte.
Allo stesso tempo però, Creature è un’evoluzione di tutto ciò che è stato Daniele Mana finora, perché non suona come nessuna delle sue cose precedenti. In realtà, è anche difficile collocarlo in qualsiasi corrente musicale sia stata di tendenza ultimamente: non stiamo discutendo di vaporwave, sinogrime, accelerazionismo o HD. Possiamo forse parlare di post-sintesi: qui si lascia da parte l’ossessione moderna per loop, sample e drops, e si preferisce un approccio timbrico e compositivo ricco e complesso, a tratti molto originale, basato su ritmi algoritmici e suoni sweepati. “Fade” e “Crystalline” sono buoni casi studio in questo senso, perché pare siano stati strutturati sulla base di illusioni acustiche che hanno l’effetto di disorientare la percezione timbrica dell’ascoltatore, un espediente che in realtà avvolge praticamente tutta la tracklist. Il potere di generare visioni sonore è portato all’estremo: sembra quasi che Mana venga inconsciamente ispirato dai film che guarda. Non è un caso quindi imbattersi in un brano con titolo “Runningman”, come la pellicola fantascientifica con Schwarzenegger. Ma non solo: tutto l’ep si basa su una certa tensione cinematografica dalla quale scaturiscono numerose suggestioni. Per questo sarebbe interessante vedere Daniele al lavoro su qualche colonna sonora (magari sui film di Nicolas Winding Refn).
Un altro aspetto interessante di Creature è che sembra un dialogo con se stessi: in quasi ogni brano, infatti, si sente una voce esasperatamente modificata, aliena. Forse è il fantasma di Vaghe Stelle. O forse è il subconscio. Ciò che conta è che, rispetto al passato, quando si assisteva a un lavoro per addizione, qui beats e kickdrums sono messi sullo sfondo, come se Mana avesse voluto spogliarsi dei tratti che caratterizzavano il suo “doppio”, dando vita a sonorità minimali solo in apparenza. Ascoltate pezzi come “Wet Life”, la malinconica “Uno e Solo” o la conclusiva “Consolations”: c’è un lavoro su progressioni armoniche in continuo movimento, un raffinato gioco sugli spettri dei suoni, spesso caratterizzato da inviluppi della frequenza.
Se dovessi associare un film a questo disco non potrei non citare “Il Cavallo di Torino” di Bela Tarr: immagini in bianco e nero, magistralmente rese lontane, quasi sfocate; lunghi piani-sequenza su paesaggi solitari e la consapevolezza dei personaggi che emerge lentamente, nella reiterazione di giorni solo apparentemente sempre identici e che si concludono con l’inquadratura di una candela tremante al buio, che infine si spegne.
Creature è l’ep che potrebbe segnare una svolta nella carriera di Mana, ma lo potremo dire con certezza solo con l’uscita di un full length, sperando non tradisca le promesse di questo piccolo capolavoro.
Ognuno di noi ha dentro di sé una creatura che si nutre di paure, ansie, ricordi, tormenti, desideri. Ciò non toglie che non possa essere bellissima: Alien docet.