Crash-music from North Africa – Incontri e scontri nel catalogo della Nashazphone
Già nel 2016 ci occupammo delle uscite dell’etichetta egiziana. Riprendiamo il discorso anche quest’estate: è la volta di nomi importanti dell’underground mondiale, a sottolineare, forse, la necessità di Hicham Chadly di cementare ancora di più le fondamenta estetiche del suo particolare progetto discografico. Siamo comunque sempre in un ambito di musiche per niente facili da ascoltare, di ultra-nicchia insomma.
ALVARIUS B., Alvarius B Vs Abdel Baqy Byro In Cairo
Album stortissimo e acido, questo nuovo per Alvarius B., cioè Alan Bishop di Sun City Girls e The Dwarfs Of East Agouza, nonché boss della Sublime Frequencies. In fondo non è una novità, con quel curriculum tutto è (sempre) possibile…
I primi dischi con questo nome risalgono alla metà degli anni Novanta, Bishop se li stampava da solo con la sua Abduction. Alvarius B Vs Abdel… contiene frammenti all’apparenza confusi di musiche che compongono una sorta di spezzettata opera sinfonica divisa in due parti (una per lato), comprendenti cavalcate psichedeliche memori dei Big Star (seviziate però dai fratelli Ween) e temi folli, frutto di ipotetici Butthole Surfers sfatti dall’abuso delle droghe più improbabili. Sul secondo lato del vinile la pantomima diventa ancora più sublime grazie a numerose parti di hip hop e altri lacerti sempre poco decrittabili. Tra arpeggi di chitarra acustica, dialoghi rubati chissà dove e canti dal mondo, ci troviamo di fronte a un frullato oggettivamente non bevibile tutto d’un fiato. Eppure, questa è una pubblicazione sensata, perché l’autore decide coscientemente di togliere il senso a tutto. Alla fine dei conti siete ampiamente giustificati sia nell’apprezzarlo, sia nel rifiutarlo con sdegno. Personalmente, forse perché appassionato in maniera terminale di assortite freakerie musicali e para-musicali, vi consiglio di ascoltarlo e di custodirlo gelosamente nella vostra collezione di dischi. (Maurizio Inchingoli)
SKULLFLOWER, The Black Iron That Has Fell From The Stars To Dwell Within (Bear It Or Be It)
KLEISTWAHR, Music For Zeitgeist Fighters
Già ai tempi degli esordi coi Ramleh, la sua creatura più conosciuta, Gary Mundy coltivava parallelamente un progetto solista chiamato Kleistwahr. Siamo nei primi anni Ottanta, e a fine decennio debutteranno su Broken Flag, etichetta fondata da Gary, gli Skullflower, con un lp dal titolo Form Destroyer, l’unico del gruppo con Mundy nella line-up. Tutto questo per sottolineare come le traiettorie dei protagonisti delle ultime uscite in casa Nashazphone abbiano un comune punto di partenza e di arrivo: Music For Zeitgeist Fighters e The Black Iron… sono due dischi straordinariamente vicini per forma e sostanza. Entrambi costituiti da due lunghe tracce, una per lato, per un totale di quaranta minuti circa ognuno, e sempre entrambi – con buona approssimazione – sul genere drone-noise, non sappiamo quanto composti oppure frutto di improvvisazione. Leggermente più agevole il discorso messo in piedi da Kleistwahr, un tantino più ostico e astruso quello degli Skullflower.
Il gruppo di Matthew Bower confeziona due episodi in cui le chitarre danno vita ad una fittissima trama che per densità di suono ricorda gli Yellow Swans: il primo è una tela dietro cui sembra di intravedere forme di vita, suoni in libertà alla ricerca di compiutezza, di una scansione temporale; il secondo è costruito attorno a un suono lancinante a cui si aggrappano prima i synth e poi le chitarre, infestanti, che finiscono per imporsi prepotentemente in una sorta di raga dalla ciclicità imperfetta, potente e meditativo.
Il disco di Kleistwahr rimane meno statico e, come dicevo, più fruibile con i suoi spunti cinematici: le due tracce risultano quasi sonorizzazioni per immagini inesistenti. Il primo lato, “Music For Dead Dreams”, dà vita in buona misura a questa dimensione onirica eppure tragica e dolente fatta di synth eterei e richiami molto labili ai Coil; il secondo, “Music For Fucked Films”, gioca maggiormente sulle dissonanze, piccole note di piano ed organi dall’incedere bislacco, fino al finale in crescendo parossistico.
Due lavori accomunati da una materia sonora affine e da una specie di horror vacui che porta a saturare ogni spazio possibile. Poco accattivanti, in verità, singolari però come molti dischi del catalogo Nashazphone sanno essere. L’etichetta di base a Il Cairo, infatti, accanto a cose che, in qualche maniera, attengono all’area geografico-culturale di riferimento, e quindi l’electro-chaabi di Islam Chipsy e Dj Sardena o le realizzazioni di oriundi come Sam Shalabi e Mark Gergis, è solita pubblicare musica occidentale coraggiosa come quella di Bower stesso nei suoi side-project Hototogisu e Sunroof! e quella di nomi anche di un certo peso e difficilmente incasellabili come Ashtray Navigations e Smegma. (Angelo Borelli)