CRAFT, White Noise And Black Metal
Nell’ottobre del 2002 andai al mio primo concerto black metal: Horna e Taake a Padova. Fra una band e l’altra conobbi Ferdinando dei Forgotten Tomb che, fresco del suo debut sotto Selbstmord, girava con una sacca piena di maglie e cd da vendere. Presi il suo album, maglia e cd del secondo capitolo degli Shining e Terror Propaganda dei Craft, perché “questi stanno andando forte”, mi disse. All’epoca un po’ di roba si comprava per aver letto qualcosa di fortuna su Grind Zone o chissà quale webzine, altra per associazione di etichette o di idee: presi Terror Propaganda perché mi fidai e perché quella copertina ricordava tanto Transilvanian Hunger. Tornando in macchina infilammo il misterioso cd e la sensazione fu qualcosa di unico e inimitabile, qualcosa che solo gli stessi Craft poterono ri-confermare con la ristampa del già introvabile primo album Total Soul Rape: un bel fistfucking con l’indiretta incapacità di urlare.
White Noise And Black Metal torna a sette anni di distanza dal precedente Void – la prova forse più catastrofica (in senso buono) degli svedesi – e subito si dimostra carico della malignità e dell’efficacia dei Craft. Quelle che sono sempre state le paranoie di Joakim e John si concretano in riff cacofonici, capaci di rovesciare il mondo sopra la testa dell’ascoltatore. Dimenticatevi qualsiasi finezza o tecnica in stile Deathspell Omega, Aosoth o Bölzer: i Craft rimangono fedeli al loro stile che dissona e tormenta conservando la semplicità più diretta. La maggior parte dei brani è costruita intorno a uno stesso riff che si ripete, cambiando poco a poco di strofa in strofa. Tutta “The Cosmic Sphere Falls” è costruita su questo concetto e anche la successiva “Again” ha poche variazioni a livello di trame chitarristiche. È la batteria a orchestrare quest’apocalisse: i Craft creano dei riff solidi che piano piano vanno a minare il loro stesso terreno; la sezione ritmica, invece, distrugge tutto al momento giusto, ribaltando gli ordini dell’universo, buttando l’ascoltatore dentro un buco nero. “Crimson” è forse il brano che lascia vedere maggiormente quest’idea di ripetizione infinita che ti fa venire da vomitare e ti fa crollare il mondo da sotto i piedi: gli arpeggi diventano riff thrash e poi si trasformano in synth, tanto per cullare l’ascoltatore in un disagio che avrà il suo apice in “YHVH’s Shadow”.
Sempre puntuali sono le citazioni dei gran maestri Darkthrone: “Undone” pare uscita da A Blaze In The Northern Sky e tra urla, echi e blast-beat si avvicina a “In The Shadows Of The Horns”. Il pezzo è uno dei più articolati dell’album nonostante si regga su quelle minime variazioni di cui parlavo: i cambi, gli stop, i raddoppi, l’uso della batteria riescono a creare comunque una sorta di monumentalità del nulla, il trionfo dell’austerità, l’elogio del nichilismo. “Darkness Falls”, dal canto suo, è l’unico momento groove: se in passato i Craft avevano più volte ripreso il black’n’roll dei Darkthrone del periodo Hate Them e Sardonic Wrath, ora tutto è più mitigato, minimizzato e semplificato, a riprendere i primi lavori di Fenriz e Nocturno Culto. Saranno i synth a stupirvi e ad aggiungere quel qualcosa di morboso e viscido che, unito al groove, vi riporterà bellissimi fasti dei vecchi Carpathian Forest.
I brani che concludono questo White Noise And Black Metal sono fra i più strazianti, ossessivi e dissonanti, e confermano i Craft come uno dei più riusciti aborti di tutto il panorama black metal dei giorni nostri. Un ritorno all’essenziale, diretto e senza compromessi, ingredienti per una panacea contro la maggior parte del panorama contemporaneo, fatto sempre più di atmosfere e decorativismi.