COUNCIL OF NINE, Dakhma

Dakhma

Potesse sopraggiungere un uragano che abbattesse dall’albero tutto ciò che è putrido e corroso dai vermi!

Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra

Ah, però! Mica male Friedrich Nietzsche. Sicuramente queste sono le parole che avrebbe usato per descrivere il disco dell’americano Maximilian Olivier alias Council Of Nine. In effetti ha ragione. Sono un pochino violente, ma proprio non possiamo dargli torto, l’album d’altronde narra di morte, putrefazione dei corpi e rituali sacri, e non di astronomia aliena. La dakhma o torre del silenzio era una sorta di antica sepoltura persiana, una costruzione a forma appunto di torre, nella quale venivano gettate le carcasse di uomini morti, le cui carni finivano per essere divorate da uccelli rapaci come gli avvoltoi. Da questo concept si sviluppa un disco di dark ambient rituale, che si avvicina per purezza spettrale dei suoni alla miglior scuola svedese, quella di Raison D’Être e Desiderii Marginis. Controfirmo (e ci mancherebbe) le parole di apertura, anzi, per restare in tema di cenere alla cenere, riscriviamole in una maniera più terra-terra o più scheletrica. Dakhma è il canto macabro della morte, che col suo alito maleodorante si appresta a eseguire la selezione dei dannati prima che sopraggiunga un’interminabile tempesta di sabbia che li releghi per l’eternità dentro la sacra sepoltura. Personalmente possiamo anche togliere la parola ambient e lasciare solo dark, perché a conti fatti la dakhma non è altro che il regno dell’oscurità, di religiosi ossari e del silenzioso soffio delle anime che tentano invano di fuggire dal più abissale girone infernale. Non che vi siano chissà quali novità, ma il disco è ben fatto e – per quanto si dica che questo genere è ostico – si lascia ascoltare con estrema facilità.