Coppia di uscite per la Black Sweat Records: DSR Lines e Telaio Magnetico
DSR LINES, Spoel
DSR Lines è l’alias di David Edren, musicista belga capace di rinverdire i fasti dei pionieri del synth senza risultare didascalico. Convincenti evoluzioni spiraliformi, perfetti prototipi di vita artificiale che pulsano in un oceano primordiale, suoni algidi e ritmati che ci svelano ancora una volta la bellezza della sintesi modulare applicata al suono. Non c’è grande differenza tra le singole tracce, sono tutte esplorazioni delle possibilità di queste morbide macchine, che ci portano per mano in un piacevole viaggio senza sconquassi nella quarta dimensione, o comunque in un posto senza gravità, dove la Terra scompare dietro la curva dell’orizzonte.
Piccoli esperimenti nei laboratori chimici della Sandoz, condotti con svagato stupore e piglio da scienziato nemmeno troppo pazzo, musiche per test acidi degli albori, trattati logico-filosofici liofilizzati in tracce di pochi minuti, con una lunga teoria di tedeschi a sorridere sullo sfondo. Strategie oblique e musiche per film, panorami a tinte tenui, per un disco che assomiglia a una visita ad un planetario o a una esplorazione nei micro-mondi. Carillon cosmici che non smetteresti di ascoltare mai, e quando con “Alcateline”, la sesta traccia, i segnali Morse iterativi riportano ai giorni dorati di No Pussyfooting della monumentale coppia Fripp / Eno, la missione può dirsi definitivamente compiuta. Centro pieno.
TELAIO MAGNETICO, Live 1975 / Expanded Version
Preziosa reissue, invece, quella dei Telaio Magnetico, band che durò lo spazio di un breve tour, dal quale provengono (nello specifico dai concerti di Reggio Calabria e di Gela) questi brani registrati nel 1975.
Franco Battiato (tastiere), Roberto Mazza ad oboe e sassofono, Mino Di Martino di Albergo Intergalattico Spaziale al Farfisa, Lino Capra Vaccina alle percussioni (di recente visto dal vivo con Evan Parker e altri a Piacenza, e che ad essere sinceri ci ha convinto davvero poco) e Juri Camisasca e Terra Di Benedetto alle voci. Placide digressioni ambientali che ricordano molto da vicino i Popol Vuh, permeate da un sentire rituale ed estatico che affascina e tocca le giuste corde. Diviso in sei parti senza titolo, il live inizia con toni elegiaci e distanti, musica umanissima suonata come fosse elettronica, si potrebbe dire futuro antico, utilizzando il nome di una band passata di recente per lo Zuma Festival. Se la traccia d’apertura rapisce, la seconda convince meno, pare mancare un’idea forte, del resto è lecito desumere che di jam si tratti, e il clima informale che si avverte all’ascolto pare confermare quest’idea. Molto bello invece il lavoro delle voci nel terzo pezzo, a tratteggiare una ipotesi di Dead Can Dance ante-litteram, per un folk dell’oltretomba mistico e sensuale, mentre Battiato e Di Martino con le loro prodigiose tastiere evocano altri mondi. Poi la voce di Camisasca addirittura vira verso lidi che riportano alla memoria il qawwali di Nusrat Fateh Ali Khan, e il lungo episodio plana in Oriente per poi perdersi in modo definitivo in una dimensione aliena eppure accogliente.
Il clima si fa più minaccioso e ostile con la quarta traccia, che inizia come una sonorizzazione di Egisto Macchi (pare di ascoltare un estratto da I Futuribili) per assestarsi poi su latitudini dove il clima è quello torrido e febbrile dell’improvvisazione e della library music. Tu non sai, tu non sai, ripete a mo’ di mantra Camisasca nella traccia successiva, e davvero non sapremmo come definire questo sabba di voci sovrapposte, davvero straniante e alieno. Molto bello. Si chiude su atmosfere prima rarefatte e poi da fuga nella foresta amazzonica con la sesta, breve traccia, per un disco che in quarant’anni non ha accumulato un grammo di polvere.