Consumer: Catania rumorosa
Inutile negare che l’ep dei Consumer, di cui vi abbiamo parlato di recente, ci abbia profondamente colpito per quel suo riuscire a mettere insieme linguaggi differenti (noise-rock, grind, sludge) all’interno di una formula personale e mai eccessivamente referenziale. Abbiamo provato a farci spiegare da loro stessi, che hanno risposto a volte all’unisono, altre volte singolarmente, cosa li abbia motivati sia come band che con la loro attività come Tifone Crew e che importanza abbia avuto nella loro formazione la città di Catania, da sempre al centro delle cronache musicali e a quanto pare capace di imprimere ai suoi musicisti una visione proiettata ben oltre i meri confini geografici. Ma sono molti gli argomenti toccati con la band nel corso di questa interessante chiacchierata. Buona lettura.
Ciao, partiamo con il presentare la band ai nostri lettori, vi va di raccontarci come vi siete incontrati e come è nata l’idea di formare i Consumer. Da quanto tempo vi conoscete?
Ciao e grazie per averci ospitati. Ci conosciamo in un modo o nell’altro da diversi anni, perché sin da giovani bazzicavamo i concerti del catanese sia da spettatori che da musicisti, e poi abbiamo approfondito la cosa tramite Tifone Crew (di cui parleremo poi). Nell’estate 2018 Martino (basso/voce) ha avuto l’idea di formare un trio che suonasse musica riprovevole e, proprio durante un nostro fest, ne ha parlato con Ciccio (batteria) che ha letteralmente risposto “sì, tanto in questo periodo suonerei proprio con chiunque”. Poi, abbiamo coinvolto Federica (chitarra), e dopo qualche giorno ci siamo trovati in sala, inconsapevoli dell’ennesimo guaio delle nostre vite.
Venite da Catania, una città che ricordo aver avuto nei Novanta una scena ricchissima e capace di proiettarla al centro del panorama internazionale tanto da guadagnarsi il nome di Seattle del Sud, cosa resta di quel fermento e di quella vitalità oggi?
Per ragioni anagrafiche – nei ’90 siamo nati – non abbiamo vissuto quel movimento. Ne sentiamo spesso i ricordi e le testimonianze di qualche amico più grande, tra chi effettivamente rimpiange quella verve e chi, col senno di poi, pensa che sia un periodo un po’ romanticizzato, per quanto sicuramente positivo.
Di sicuro c’è che Catania è una città fortemente musicale, la gente che suona è parecchia, in tutti gli ambiti e contesti, persino i più mainstream – pensa alle varie pietre miliari su vari fronti, dal nostro caro Franco Battiato e gli Uzeda fino agli Schizo. Quella della musica estrema/di controtendenza/alternativa è ovviamente una nicchia, però le band, la qualità e lo spirito non mancano. A mancare sono stati, per anni, gli spazi in cui potersi esprimere al meglio, oltre che quel sentimento di rete, di condivisione di idee. È per questo che, come accennavamo prima e come spiegheremo dopo, qualche anno fa abbiamo messo su Tifone Crew.
Parliamone: una realtà nata per dar spazio ad eventi live nella città più come una comunità che come una mera agenzia di booking…
Per l’appunto, Tifone Crew è un collettivo nato a fine 2017 proprio dall’esigenza di creare un movimento, in un periodo in cui non si stava suonando più e noi tutti ci eravamo stufati della situazione. Non ci siamo, come dici, concentrati sul mero booking di eventi, ma sin dall’inizio abbiamo guardato alla comunione di intenti, al tessuto sociale, alla messa in gioco comune di capacità e attitudini – Tifone è formato da musicisti, tecnici, produttori, illustratori, scribacchini. Abbiamo iniziato con un paio di eventi in cui abbiamo suonato con le nostre band e la risposta è andata subito oltre ogni aspettativa, il che ci ha incoraggiato nel proseguire allargandoci a gruppi da tutta Italia. Prima di quanto ci aspettassimo siamo stati in grado di ospitare band come Slander, Messa, Storm{O} e tante altre, ed è una cosa grandiosa. Non per il nostro ego, ma perché sentiamo di aver tessuto una rete che abbraccia più parti d’Italia, conoscendo un sacco di gente speciale e costruendo dei rapporti umani.
Nel frattempo abbiamo anche iniziato a prender parte ad alcune coproduzioni e ad alimentare la nostra distro, e da varie costole di Tifone sono nate una label (Fresh Outbreak Records), un press office (Mani In Faccia Promotion), una band (noi). Insomma, in un lungo curriculum di fallimenti abbiamo forse segnato un punto, e adesso non vediamo l’ora di riprendere, appena sarà possibile accalcarsi nuovamente sui palchi.
Tra l’altro, a proposito di concerti, avete dovuto spostare le date di presentazione del disco, non una cosa da poco se si considera quanta fatica costi oggi organizzare concerti soprattutto al sud. Come vedete la situazione post-covid e che idea vi siete fatti delle possibili alternative in attesa si possa cominciare di nuovo a suonare senza limitazioni e restrizioni?
Ciccio: Onestamente, è diventato sempre più difficile capirci qualcosa. Dapprima le prospettive sembravano nerissime, poi hanno iniziato ad annunciare alcuni live, ora pare che in autunno torneremo a suonare, ma chiaramente nessuno può metterci la mano sul fuoco. In tutto questo, a livello personale trovo oltraggioso l’atteggiamento di assoluta indifferenza verso il settore dello spettacolo, che non solo permette a noi di divertirci facendo schifo in giro, ma che dà pure da mangiare a un sacco di gente. L’ignoranza nei confronti di questo mondo da parte non solo della politica, ma anche dell’opinione pubblica è evidente, lo è sempre stato, ma oggi rischia di ottenere ripercussioni disastrose.
Federica: Avendo pubblicato l’ep ad aprile chiaramente ogni programma è andato, purtroppo, in fumo. Per quanto mi riguarda la pandemia mi ha tenuto lontano da casa e dai Consumer per mesi e mesi, quindi il desiderio di recuperare le date annullate si unisce a quello di riprendere a suonare anche in sala prove, cosa che mi manca parecchio. Sarà difficile tornare alla “normalità” dei concerti, è una questione che richiede e richiederà molto tempo a mio avviso, ma sono fiduciosa: spero di poter portare in giro il nostro ep molto presto, magari da ottobre?
Martino: Da quando non è possibile suonare o assistere ai concerti mi sento come se mi fosse venuto a mancare all’improvviso un rene, sensazione che credo venga condivisa dai più che sono coinvolti (quanto o più di noi) nel mondo della musica e dello spettacolo. Forse torneremo a suonare dapprima negli scantinati, come si faceva un tempo (mi dicono), successivamente magari potremo farlo nuovamente nei locali ma con le dovute misure di sicurezza, sicuramente però non lo faremo nei drive-in o ad un metro di distanza gli uni dagli altri, poiché la distanza o la possibilità di riuscire a tenere in mano un cesto pieno di popcorn sono l’ultima cosa che voglio vedere durante un concerto.
Sempre stando alle mie informazioni, Federica studia a Perugia (tra l’altro il disco esce anche per la Mother Ship e avreste dovuto presentarlo live anche nella città umbra). Come ha influito questo distanziamento sulla band e che tipo di differenze hai notato tra le comunità musicali delle due città, credi che l’essere più vicina a centri di snodo come Roma e Bologna renda differente l’approccio alla musica e al modo in cui viene vissuta rispetto ad un luogo più isolato come Catania?
Federica: Sì, le informazioni sono corrette! Vivo e studio a Perugia da settembre ’19, mi sono trasferita subito dopo aver registrato l’ep con i ragazzi, altrimenti non mi avrebbero lasciato partire. La distanza è una cosa che mi ha decisamente spaventato sin dall’inizio perché avrei dovuto gestire da lontano sia i Consumer che i Torpore, altra band sludge in cui suono, ma devo dire che grazie a Ciccio, Martino e agli altri miei colleghi di band si è rivelata gestibile. Basta organizzarsi e gestire gli impegni con criterio e volo subito giù a Catania, come per il nostro debutto a novembre con i Messa.
Spesso si tende a sottovalutare ciò che si ha ed il posto in cui si vive, errore che ho commesso anche io. Perugia è una bellissima città in cui la scena musicale negli ultimi anni ha risentito di alcune perdite sia di spazi in cui poter organizzare i concerti, sia di affluenza di pubblico, ma continuano ad esserci in ogni caso delle realtà, come appunto Mother Ship, che portano avanti la scena egregiamente. L’approccio organizzativo è un po’ diverso rispetto a quello che adottiamo a Catania con Tifone Crew, perché spesso abbiamo a che fare con band che non hanno mai messo piede in Sicilia e l’esperienza, sia per loro che per noi, acquisisce ulteriore valore. Una cosa che mi sento di dire però è che sicuramente la differenza sostanziale sta nella partecipazione del pubblico. Sarà forse l’indole terrona a rendere il pubblico catanese più partecipativo? Ahahah!
Risposta non necessaria di Martino ma comunque doverosa: La verità è un’altra. Federica, nonostante i nostri ragguagli fraterni, ha preferito la carriera accademica e (forse) il futuro, allo Sludge Metal. Sa di aver fatto una cosa grave, una cosa cui mai si rimedia, e sconta le pene di tale scelta sprovveduta ogni giorno. Speriamo che una volta laureatasi nuovamente la Dott.ssa Sapuppo possa dedicarsi nuovamente a tempo pieno ad i valori genuini della vita, come la musica brutta ed il sincero disagio che devi vivere per produrla con autenticità.
Passiamo a parlare del disco appena uscito e delle label coinvolte nella sua pubblicazione. Con che criterio le avete scelte e, soprattutto, come vedete la coproduzione al di là del mero aspetto di supporto economico? Credete abbia ancora una funzione aggregativa e di unificazione tra le varie realtà locali sparse per il paese?
L’idea di coproduzione è affascinante perché, come abbiamo espresso anche sopra, a noi sta molto a cuore il fatto di stringere rapporti interpersonali, nonostante suoniamo musica da sociopatici. Certo, il supporto economico ci ha indubbiamente aiutati, ma il rapporto con i nostri partner si basa su aspetti di collaborazione, fiducia e stima, non è un discorso di mero business ma si tratta di gente che mette le mani in tasca e decide di darti una mano senza altri fini, e per questo siamo molto grati a chi ha deciso di aiutarci nella pubblicazione dell’ep. In primis abbiamo coinvolto Santo di Fresh Outbreak, che ormai è come se fosse il quarto Consumer (che gli piaccia o meno), e grazie al suo aiuto abbiamo raggiunto Antonio di Impeto Records, Luciano di Boned Factory e Matteo di Nut Records. La partecipazione di Mother Ship, come dicevi su, è invece il motivo per cui abbiamo inviato Federica al fronte in terra umbra, in incognito come studentessa universitaria.
La prima cosa che mi ha colpito nel premere il tasto play è stato il suono del disco, ho apprezzato in particolare la scelta di lasciare il basso in evidenza così da permettere di distinguere ciascuno strumento e in pratica raddoppiare l’impatto sull’ascoltatore. Come vi siete mossi per registrarlo, avevate già in mente il tipo di suono che volevate ottenere prima di entrare in studio?
Siamo sempre molto attenti anche riguardo al comparto tecnico della nostra produzione musicale, quindi la scelta dei suoni giusti, l’identità sonora e una produzione ben fatta sono imprescindibili dal nostro punto di vista. Vero è che il frangente dello sludge metal (e limitrofi) è, oggi più che mai, affetto dal morbo dell’ormai abusato “amplifier worshipping of doom”, o da motti fittizi della stessa risma che sembrano legittimare l’uniformazione del carattere sonico di un intero panorama musicale a favore di immotivate torri di casse ed amplificatori con una collezione di fuzz variopinti ai propri piedi. Nello specifico noi siamo i primi ad usufruire di volumi sconsiderati, distorsioni punitive ed un muro di suono quanto più possibile opprimente, ma, qualora ci si voglia avvalere di questo approccio, crediamo sia necessario farlo spontaneamente, per come la propria musica richiede, giacché volumi mastodontici ed amplificatori che pesano e costano quanto una Renault Clio usata non corrispondono necessariamente a caratteristiche espressive di qualità. Se per ragioni artistiche si decide di avvalersi delle suddette caratteristiche (come noi stessi facciamo) allora curare la propria identità sonora diventa fondamentale per non ricadere nei soliti cliché, poiché una buona idea vale sicuramente più di tutti i Watt del mondo.
Martino è il gear slut della band e le idee di riff e brani che porta in sala (che poi sviluppiamo insieme) sono strettamente correlate al sound che ha in mente per la band, e abbiamo cercato di metterlo in chiaro nell’ep. Tale risultato è stato possibile anche grazie alle mani ed alle orecchie del nostro Giacomo Iannaci del Morning View Studio, che ha capito l’obiettivo della band e ha saputo soddisfarlo. Ad esempio un punto focale del nostro sound risiede appunto nell’inversione del ruolo convenzionale tra basso e chitarra, poiché praticamente Martino suona il basso come se fosse una chitarra e Federica ne supporta i movimenti con linee solide, che fanno da fondamenta al resto degli elementi compositivi. Sicuramente, però, dobbiamo ammettere che registrare basso e chitarra in un bagno ci ha aiutato molto nel raggiungere il suono ributtante che volevamo.
Questa caratteristica dona inoltre un retrogusto noise-rock alla vostra personale formula sonora, così da allargare ulteriormente la paletta di colori in dotazione, quale è il vostro background come ascoltatori e musicisti? Quali musicisti e dischi hanno segnato la vostra crescita e vi hanno spinto a prendere in mano uno strumento?
Ciccio: Bella domanda, ed è sempre difficile rispondere. In realtà ho preso lo strumento in mano – o meglio, mi ci sono seduto su – perché i miei genitori sono loro stessi musicisti e organizzatori di eventi, quindi mi capitava spesso sin da bambino di trovarmi nei pub o nelle piazze a vedere gente che suonava. Da questo credo di aver ereditato l’attenzione per l’iper-locale, per le piccole realtà.
Se dovessi nominare una e una sola band che mi ha accompagnato sin dagli inizi e che non ho mai rinnegato direi i Pantera, anche perché Vinnie Paul è stato sempre un punto di riferimento, e poi mi hanno aperto le porte dello sludge grazie al legame con i Down e la scena di New Orleans. Più avanti ci sono rimasto sotto con Mastodon, Gojira, The Ocean e Converge, ognuno dei quali mi ha poi portato ad approfondire cose diverse, e contemporaneamente ho sviluppato i miei ascolti in ambito black metal e post-rock, che sono tra i miei generi preferiti. Per quanto riguarda l’ambito in cui ci troviamo, invece, ti nomino Baroness, Acid Bath, Pallbearer, Elder, Intronaut. E d’altro canto ultimamente ascolto molto rap italiano e ho approfondito un po’ di screamo e math rock.
Insomma, non vorrei uscirmene con una frasetta banale, ma ho sempre preferito non solo ascoltare, ma anche addentrarmi e cercare di comprendere varie forme e stili, anche del tutto lontani dal rock/metal/punk, e in qualche modo farmi influenzare da ciò che mi passa a tiro, senza stare a pensare se sia effettivamente un classico della musica o no.
Federica: Potrei scrivere una lista infinita ma sicuramente il disco che mi ha spinto a prendere la chitarra in mano è stato Bleach dei Nirvana, senza dubbio. Da lì è stato tutto un evolversi verso sonorità e generi sempre più pesanti, attraversando periodi in cui mi focalizzavo su gruppi molto diversi fra loro, sviluppando ad esempio un amore sconfinato per i Depeche Mode. Il cammino verso il marciume e la pesantezza dello sludge/doom/stoner invece è stato accompagnato da band come Acid Bath, Buzzoven, Old Man Gloom, Electric Wizard, Melvins, Boris e Acid Witch. Queste le band fondamentali, ma lascio un po’ di spazio per scrivere anche a Martino!
Martino: Ho iniziato a suonare cercando di riprodurre i miei brani preferiti dei Black Sabbath con il basso, strumento di cui in principio non avevo ben capito né suono né ruolo, e probabilmente la cosa non mi è chiara nemmeno oggi, ma cerco di renderlo un vantaggio. Non mi è mai piaciuto fissarmi con un genere in particolare, però sicuramente i miei primi ascolti significativi affondano le radici nell’heavy metal/hard’n’heavy come quello dei Judas Priest e dei Motörhead, poi nello stoner/desert rock dei Kyuss, degli Yawning Man e della scena californiana, poi sono arrivati il black metal, il doom metal, il death metal, lo sludge, il post-metal e progressivamente la cosa è andata degenerando. Mi piace la definizione di Consumer data da diverse fonti tra recensioni ed ascoltatori, che ci definiscono sludge/death, accostando quindi due tra i miei generi preferiti, che non riuscirei ad escludere dalla mia espressione musicale neanche volendo. Con Ciccio e Federica (e Santo) scriviamo di musica per la webzine Grind On The Road, quindi siamo sempre aggiornati sulle uscite odierne, ma a prescindere saremmo comunque molto attenti al panorama musicale contemporaneo, che comprende istanze che ci ispirano come band e con cui ci sono personalmente rimasto sotto pesantemente come Bölzer, Mgła, Amenra, Wiegedood, Primitive Man, Dopethrone, Thou ed High On Fire. Cerco sempre anche di buttare un orecchio fuori dal Metal e adoro e supporto la contaminazione di quest’ultimo, come accade negli ibridi degli Gnaw Their Tongues, Sightless Pit, Lingua Ignota e le varie collaborazioni dei The Body o dei Full Of Hell. Poi ascolto anche un sacco di synthwave/retrowave e credo potrei esplodere ad uno show di Carpenter Brut o Perturbator. Come band dunque abbiamo molto da ispirarci ed attingere, quindi nulla esclude che il nostro prossimo prodotto possa essere qualcosa di inaspettato rispetto all’ep recentemente rilasciato.
Come nasce il nome Consumer e che di cosa parlano i vostri testi? Nonostante la vostra preferenza per tempi lenti e un chiaro amore per sludge e sonorità pesanti, ho intravisto una sorta di attitudine grind che mi ha fatto pensare a dei Napalm Death rallentati, per cui l’insieme di nome, artwork e questo mood particolare mi fa pensare che abbiate un lato politico o comunque non siate indifferenti a tematiche sociali, mi sbaglio?
Anche scegliere dove fare la spesa o dove andare al cinema è una scelta politica. Anche suonare determinata musica e in determinati spazi lo è. Quindi sì, da questo punto di vista siamo molto legati a una certa forma mentis, ma non siamo una band che tratta temi politici in senso stretto, nel concept e nei testi. Sicuramente ci piace confrontarci con lo schifo, prendere il disagio e la disillusione della vita quotidiana e in qualche modo esorcizzarli. Questo può essere inteso come tema sociale, anche partendo proprio dal nostro nome, che si riferisce alla figura di uomo come consumatore, ma che poi è a sua volta corroso, svuotato dalla vita, dal tempo e da ciò che lo circonda. Anche da un punto di vista musicale, poi, seguiamo molto la scena grind e hardcore, quindi crediamo che i riferimenti siano più che pertinenti.
Nonostante i vari nomi citati, il vostro è un linguaggio che pur senza rinnegare le proprie radici appare dotato di personalità e non stereotipato, un dettaglio che fa la differenza e permette al disco di lasciare il segno. A questo punto mi viene da farvi una domanda sui social e le moderne tecnologie: credete che internet faciliti lo sviluppare una propria personalità grazie all’accesso ad una quantità pressoché illimitata di informazioni o al contrario appiattisca le proposte in virtù di una maggiore omogeneità nelle fonti di ispirazione/background?
I vantaggi o gli svantaggi della nostra era non propendono solo da una parte o dall’altra e sta a noi scegliere di coglierne i frutti o venirne sopraffatti. Sicuramente, rispetto a trenta o quarant’anni fa, oggi (quasi) chiunque ha accesso immediato ed illimitato a musica ed informazioni, ed al contempo oggi c’è molta più musica da ascoltare e molte più informazioni da recepire, creando talvolta anche un ambiente stimolante ed in costante evoluzione da cui trarre ispirazione. Chiaramente quantità non equivale a qualità ma, per la legge dei grandi numeri, ad un certo punto sbuca sempre (ed abbastanza puntualmente), qualcosa di nuovo ed interessante. L’altra faccia della medaglia sta, come accennato sopra, in una saturazione esasperata di alcuni frangenti musicali, che diventano un trend fine a sé stesso e sfornano prodotti omologati, ma che però trovano spazio ugualmente a causa di una fruizione consumistica della musica, che in questo caso, più che mai, diventa prodotto, merce, se non addirittura status symbol, difatti avere l’ultimo vinile splatter catarifrangente limited edition di “band di tendenza X” oggi può sicuramente contribuire all’attribuzione di uno status sociale tanto quanto può farlo avere l’ultimo modello di iPhone. Crediamo che questo fenomeno continuerà ad esistere, anche solo per la semplice legge della domanda e dell’offerta, ma lo farà parallelamente a panorami musicali ben più significativi, in cui continueremo a sguazzare.
In generale come vi ponete rispetto all’eterna diatriba tra old-school e modernità, siete in qualche modo nostalgici dell’era analogica o apprezzate le potenzialità che offrono oggi le moderne tecnologie anche in fatto di registrazione, diffusione e fruizione della musica?
Ci piace cogliere il meglio dei due mondi, sia a livello compositivo che a livello sonico. Come già detto alcune delle nostre band preferite appartengono a panorami di diversi decenni fa e noi le continuiamo ad ascoltare o a seguire, ma ciò non ci preclude di seguire attivamente il panorama musicale contemporaneo e a produrre musica come si può fare nel 2020 senza troppe complicazioni. Sicuramente senza i Darkthrone oggi (per un certo butterfly-effect) non esisterebbe l’ultimo album dei White Ward (post-black sperimentale con influenze jazz, recuperateli se non li avete ancora ascoltati, spettacolari!). Ciò però non significa che o produci musica con un modeller digitale, una chitarra ergonomica con tante corde ma senza headstock ed una camicetta da hipster o devi necessariamente, dall’altra parte, registrare i tuoi album con una patata per farli suonare più raw: resti coerente anche prendendo il meglio dei due mondi finché le tue scelte contribuiscono a concretizzare il tuo obiettivo artistico, e, almeno per noi questo approccio bilaterale funziona. Credete che i giovani Darkthrone stessi non avrebbero usato una normale dotazione entry-level di un home studio del 2020 per produrre le loro demo se solo ne avessero avuto la possibilità? Crediamo che probabilmente lo avrebbero fatto senza pensarci due volte, ciò non toglie che in entrambi i casi avrebbero tirato fuori i capolavori intramontabili che hanno comunque prodotto, anche con i mezzi limitati dell’epoca. Questo dovrebbe far capire quanto ancora una volta sul mezzo vince l’idea, specialmente quando quest’ultima è assolutamente valida. Dalla nostra parte oggi abbiamo anche la fortuna di poter realizzare le nostre idee musicali (valide o meno valide) molto più semplicemente rispetto al passato e, ancora una volta, sta a noi saper gestire questa opportunità.
Grazie mille per il tempo e lascio a voi la chiusura di questa chiacchierata con i vostri contatti ed eventuali argomenti rimasti fuori, prossime mosse pianificate e progetti in cantiere.
Grazie di cuore a te, Michele, per averci ospitato sia con quest’intervista che con la recensione su The New Noise, è un piacere immenso ricevere il vostro supporto. In cantiere abbiamo alcuni brani nuovi che stiamo componendo in questo periodo e su cui ci concentreremo durante l’estate, ma il nostro più grande desiderio al momento è quello di recuperare le date perse, sia in Sicilia che fuori, appena sarà possibile.