Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

COMMON DEFLECTION PROBLEMS, We All Play Synth

We All Play Synth

Nuova uscita per i tipi della Brigadisco (ma nel mazzo dei distributori, tra gli altri, c’è pure la Lemming Records del batterista dei Cannibal Movie). I Common Deflection Problems sono un trio che ha vissuto prima a Londra (dov’è stato comunque registrato l’intero disco) e ora s’è spostato in Spagna. Al momento sono Antonio Iannola (chitarra), Mario Noviello (basso) e Gianpiero Cacace (batteria), hanno alle spalle un ep e poco altro e propongono una musica tostissima legata in maniera indissolubile alle migliori cose di marca math-rock dei Novanta.

“Steve” sembra essere una rilettura riuscita di grammatiche à la Storm And Stress, senza però la vena quasi espressionista e al contempo più criptica dei succitati. I ragazzi architettano alla loro maniera un mondo costellato di scorie notturne vicine al blues (“Hugo In The Continent” e le sue grasse reiterazioni psicotiche), e pennellate chitarristiche sempre al limite del collasso, che solo un Al Johnson (Us Maple) sarebbe in grado di domare (“Lot Of Fun Down The Vatican”, dove certi echi sembrano voler evocare anche lontani fantasmi primusiani, ma è solo una fugace sensazione). We All Play Synth è dunque un lavoro che gioca con il dosaggio pesante di istanze post riuscendo in parte a non sembrare derivativo (interessanti le ecolalie della conclusiva “Kasbah” e alcuni passaggi nerboruti della buona “Urania”), ma che deve ancora esprimere appieno il suo potenziale. L’appeal e la heavyness ci sono già (pare subito di capire che dal vivo sono capaci di fare faville), manca solo un ulteriore grado di consapevolezza estetica (necessario per affrancarsi dai modelli di riferimento) abbinata al pieno controllo della composizione. Solo cosi l’astronave potrà decollare senza problemi verso uno stordente viaggio cerebrale. Più che promettenti.