COME TO GRIEF, When The World Dies
Definizioni tratte dal mio dizionario di inglese (Edizioni Rob Halford, 2018).
“Grief”
1. grief (over/at something): una sensazione di enorme tristezza, specie per qualcuno che è morto.
2. (informale) problemi e preoccupazioni.
3. band statunitense degli anni Novanta fondamentale per chi suona sludge (mio appunto a margine: non trovo materiale su di loro in italiano, ma dalle mie parti li amiamo molto, anche perché hanno realizzato due split coi 16, altri che all’epoca adoravamo; non conosco in ogni caso molto bene la storia della formazione, che è passata attraverso mille cambiamenti).
“Come To Grief”
1. giungere a un completo fallimento.
2. rimanere feriti in un incidente.
3. primo album vero e proprio dei Grief (Century Media, 1994).
4. il nome che Terry Savastano, chitarrista già nei Disrupt e fondatore dei Grief, dà nel 2014 al suo nuovo gruppo, che fa vecchi pezzi dei Grief e originali, sempre con lo stesso tiro marcio, disperato, dimesso, agonizzante.
When The World Dies è il primo full length dei Come To Grief, che alle spalle hanno anche uno split coi Fistula, coi quali sono stati pure in tour, cosa che credo non sorprenda nessuno. Come immaginabile, con queste persone non è mai stata una questione di pulizia del suono e di levigature varie, quindi stupisce vedere che sulle registrazioni hanno messo le mani Kurt Ballou e Brad Boatright (così come è strano che la copertina sia di Paolo Girardi, artista lontano da quello che potremmo chiamare “immaginario Grief”, legato alla miseria quotidiana e alle periferie urbane): l’esito, per fortuna, non perde troppo in termini di autenticità e verità, ma semplicemente dà le giuste manate in faccia.
Ci sono posti dove vai a bere e al banco ti mettono già quello che stai per chiedere, perché sanno cosa vuoi e perché in generale la gente viene da loro, e sanno pure cos’hanno in cantina, vicino ai cadaveri. Con Savastano e compagnia è così:
– batteria punitiva;
– pesantezze insostenibili;
– lentezze al limite della staticità alternate a fasi più sostenute che a quel punto ti investono come una valanga;
– nulla che non sia distorto e non produca feedback di ogni tipo;
– una meravigliosa voce scorticata.
Tutto è solo un po’ più aggiornato al 2022, come logico più prevedibile e un pochetto più controllato ed elaborato (la title-track, ad esempio). Non male l’ospite illustre Jacob Bannon in “Life’s Curse” e soprattutto in “Bludgeon The Soul”.
Per me ci siamo, e non era scontato.