COMANECI, Anguille
L’anguilla rappresenta un enigma. È pesce ma anche altro, serpente, verme, mostro marino. Anguille lo sono anche le nuove tracce dei Comaneci, la band di Francesca Amati, Simone Cavina e Glauco Salvo, al quinto album marchiato dalla collaborazione fra Santeria Records, Wallace Records e Tannen Records, a quattro anni di distanza dal precedente capitolo di studio e turning-point stilistico Rob A Bank, dalle prospettive sonore infatti più ampie, al di là delle radici acustiche. Anguille, sempre per citare il terzetto ravennate, è un disco di perseveranza e trasformazione: nato e cresciuto in tempi di lontananza e limitazioni, ha cercato di trasformarsi in un’occasione per esplorare nuovi orizzonti. A livello procedurale, il tutto si è tradotto in registrazioni svoltesi con Mattia Coletti in location inusuali come spazi teatrali e dimore in collina, posti ideali per sogni e rappresentazioni dei sogni a distanza di sicurezza dalle risacche sterili della realtà.
Proprio come gli animali acquatici raffigurati in forma astratta sulla copertina del disco da Nuttsponchon, i brani si fanno subcilindrici e sinuosi, risucchiando in un inalterato gorgo dream folk dalle rifrangenze psichedeliche. Dopo l’intro post-rock di “Listen”, la voce da incanto di Amati è subito protagonista, accompagnata da quella cavernosa di Troy Mytea (Dead Western) nel dark country alterato di “Couldn’ Help It”. Gli altri ospiti sono Tim Rutili dei Califone nelle sperimentazioni di “Loss Of Gravity” e Luca Cavina (Calibro 35, Zeus!, Arto) a suonare qui e là basso e sintetizzatori, ben in evidenza per esempio nel groove jazzy di “Hidden Place”. Si prosegue con il trip hop organico di “Little Girl”, una poetica e pensosa “The Stray” con l’apporto di Charles Simić e l’art-pop post-4AD dal mood vagamente breedersiano di “Hillhouse”, mentre l’onirica classicità con pianoforte di “Jaws” si contrappone quasi all’elettronica picchiettante e disturbata di “The Tongue”, a scivolare comunque sia in un unico stream of unconsciousness. Sul finale, la soffusione confessionale in gentile crescendo di “Every Midnight” prelude alla pacificazione di “To The Water”. I tre tirano l’amo e pescano a piacimento: molecole di idee in divenire, squame di fantasticherie, canzoni dall’aura magica.