COLLEEN, Le Jour Et La Nuit Du Réel
Ottavo album e il primo a essere doppio per la musicista francese dopo vent’anni di carriera, Le Jour Et La Nuit Du Réel ci dice molte cose. Innanzitutto, ci dice che la Colleen che preferiamo è quella interamente dedita al verbo strumentale, qui sviluppato – di nuovo, non accadeva dal 2007 – al massimo delle sue ambizioni, poiché il lavoro si articola in ben ventuno tracce-movimenti, a loro volta suddivise in sette suite. Sette suite, a loro volta ancora, distribuite per l’appunto su due facciate speculari, che corrispondono al “giorno” e alla “notte”.
A partire dagli anni Dieci, Cécile Schott – in equilibrio tra background classico, linguaggio emotivo pop e sperimentazione – ha infatti preso a inserire delle parti cantate nei suoi dischi, compreso il precedente The Tunnel And The Clearing. Di questo lungo flirt con la forma-canzone, l’episodio più sorprendente è stato probabilmente Captain Of None del 2015, un incantesimo dub applicato alla viola da gamba, che tra l’altro avviava la partnership con Thrill Jockey.
Le Jour Et La Nuit Du Réel è un punto e a capo sotto molti aspetti: curioso anche che, essendo più che mai basato sulla sintesi sonora, il materiale si sia appunto esteso in un viaggio di quasi un’ora di durata. I temi di partenza sui quali interrogarsi erano del resto ingombranti: il sé, la capacità di percezione, le nozioni in continuo mutamento di ciò che definiamo “realtà” e magari non lo è affatto – da qui, il titolo traducibile come “il giorno e la notte della realtà”. Il bello è che l’album in origine era munito di testi, prima di privarsi gradualmente delle parole. La sottrazione è stata applicata al medesimo atto espressivo del concept. Sample e loop sono al solito i binari portanti di composizioni ottenute in tal caso tramite una combinazione completamente analogica di un sintetizzatore monofonico semi-modulare, il Moog Grandmother, unica fonte sonora in direzione di uno “stile ibrido uomo-macchina”, e due delay, il Roland RE-201 Space Echo e il fido Moogerfooger Analog Delay. Alcuni motivi ricorrono, nei tasselli delle varie suite, riproponendosi con differenti texture. Tutto si va a sovrapporre con un senso, come spiegato da Schott, attiva ormai da tempo a Barcellona: Per me, la capacità della sintesi di alterare – sottilmente o radicalmente – l’incarnazione fisica in suono della stessa serie di note è simile al modo in cui, quando vengono fornite nuove informazioni su una persona o una situazione, possiamo rivalutare la nostra iniziale percezione di ciò che pensavamo fosse la “realtà” di quella persona o situazione, a volte in maniera drastica.
Un’altra peculiarità, a sfatare ulteriori luoghi comuni sinestetici, è che la tensione sia maggiore nei pezzi deputati alla fase diurna, a mimare l’energia della luce che sorge (“Subterranean – Movement II”, “The Long Wait – Movement II”), via via più calda (“To Hold And To Be Held – Movement I”, Mon Coeur – Movement I”), dopodiché crepuscolare (“Be Without Being Seen”, in crescendo minaccioso nei suoi tre atti), sino alla malinconia e all’ossessione dell’insonnia che subentrano al buio con lentezza e paradossale pacificazione (“Les Parenthèses Enchantées – Movement II”, “Night Looping – Movement III”). In ogni caso, Le Jour Et La Nuit Du Réel è buono da ascoltarsi ventiquattr’ore su ventiquattro.