COLIN SELF, Siblings
I used to live as an anomaly… no explanation biologically
Se avete una vaga idea di come possa suonare oggi la musica elettronica più interessante, allora saprete dell’esistenza di artisti come Holly Herndon (che conosce bene Self, avendolo ospitato nel suo Platform), Jlin, Yves Tumor e magari conoscete pure le uscite della berlinese PAN, per esempio quelle notevoli di Pan Daijing, Rashad Becker o MESH. Anche Colin Self va tenuto d’occhio. Lui è un esempio di artista a tutto tondo, completamente immerso nella contemporaneità: ha l’aspetto androgino, gioca con la sessualità, la vocalità – e con l’elettronica naturalmente – riuscendo a mettere su una sorta di carrozzone pop-sinfonico che re-inventa alcune sortite di Final Fantasy (“Foresight”), sorpassando a destra l’eccentricità baraccona di Arca in “Survival”, arrivando persino a omaggiare le orchestrazioni su di giri di una Enya, naturalmente riviste in ottica transgender e orgogliosamente lontano dai “muscoli” mostrati dalle case discografiche, che tagliano il prodotto a seconda del pubblico al quale l’artista si rivolge (insomma, la RVNG Intl sta facendo un buon lavoro). Self, dunque, mette coraggiosamente in pratica il suo discorso, libero, folle e centra l’obiettivo, che resta quello di creare una musica aliena eppure figlia delle culture di oggi che, nonostante le politiche di destra di mezzo mondo, sono già e diventeranno ancora di più nel tempo, dominanti. La libertà naturalmente si paga, ma il rischio da correre, pur essendo alto, non scalfisce quella che pare una proposta sonora divertita e coscienziosa (il tiro technoide e “vuoto” di “Stay With The Trouble…”), profondamente legata all’intimo dell’essere umano. Quella contenuta in Siblings è musica che testimonia il vero presente, però non quello costruito ad arte da odiatori di professione e pigramente digerito da gente abituata ad avere a che fare sempre con gli stessi suoni. Questo è un disco coraggioso e da avere.