COLIN SELF, r∞L4nGc
Non ci si annoia nel secondo album di Colin Self per RVNG Intl., a interrompere diversi anni di volontario esilio e meditazione all’ombra della notte, in seguito a varie forme di lutto. Sin dal titolo r∞L4nGc, che sta per respite ∞ levity for the nameless ghost in crisis. Lui è uno che si può simultaneamente definire compositore, performer (ha co-fondato la scuola TIAPS, con cui si è dato da fare a teatro in ambiti prestigiosi), studioso-sperimentatore dell’uso della voce (già militante nel trio XOIR, assieme a Holly Herndon e Mat Dryhurst) e burattinaio professionista. A (con)fondere ulteriormente le acque, le dodici tracce qui messe in fila shakerano elettronica, (hyper)pop, neo-psichedelia, musica corale e musica contemporanea, spoken word e orchestrazioni, come a centrifugare le sagome di Panda Bear, Dan Deacon e chissà quanti altri in una nuova e sfuggente identità. La voce, poi, appunto, è soulful anche quando alle prese con la lingua latina (nell’operistica “Dissimulato”, pervasa da un sintetizzatore rétro sci-fi) e anche con quella Polari, cioè uno slang inglese impiegato oltre cinquecento anni fa da fuorilegge e comunità trans-queer per comunicare meglio una volta sotto arresto.
Gli spettri in crisi del titolo sono dunque quelli degli outsider che ritrovano corpo proprio nei pupazzi fabbricati dal “ventriloquo” Self. Questi pupazzi ballano sulle ritmiche frammentate e sincopate della programmatica “Doll Park Doll Park”. Premesse potenzialmente creepy, a un passo da “Longlegs” se bazzicate gli horror, ma qui tutto si ispira in primis a Greer Lankton e si scioglie nella pacificazione gospel di “respite for the tulpamancer”, in collegamento alla pratica buddista della tulpamanzia, oppure nella variopinta orecchiabilità a suon di beat della ballad da camera “gayo”.
Attivo tra Berlino e New York, l’artista statunitense allestisce una wunderkammer sui generis (in copertina, comunque sia, c’è un’opera di Machado), dove trovano sfogo i suoi innumerevoli interessi, così come argomenti sconvenienti – la polizia, la prostituzione – incastonati in contesti spesso a un primo ascolto sfiziosi, se non divertenti, ma a ben ascoltare da rompicapo freak, nella seconda metà di programma anche un po’ pedanti nell’affastellare cose e meta-rimandi. Nella lista dei collaboratori, tra gli altri, si scorgono i nomi di Cecile Believe, Bully Fae Collins (in “Busy Walks Into The Memory Palace”, dalla pièce Tip The Ivy, narrata dal punto di vista del personaggio Busy Adams, calato all’interno di un’architettura mentale infestata da un gruppo di defunte drag queen!), Lyra Pramuk, Will Weisenfeld (meglio noto come Baths) e i Matmos (nell’avant-suite “∞”, legata alla lemniscata e all’idea di viaggio nel tempo), con Heba Kadry al master. Canzoni come bambole vudù.