COLD CAVE + DRAB MAJESTY, 30/3/2017
Torino, Superbudda. Grazie a Gabriele Daccardi per le foto.
Ci sono generi musicali che, in un modo o nell’altro, rimangono influenti nel tempo. Questo vale per tutto ciò che è legato all’immaginario dark/new wave/post-punk, probabilmente anche grazie al forte impatto estetico. È difficile, infatti, trovare un musicista che non abbia preso ispirazione o che non si sia stato in qualche modo attratto da personaggi come David Bowie o Ian Curtis. Anche nel mondo dell’indie-rock, pure di quello più vicino al mainstream, band come Editors e The National hanno riportato alla luce sonorità e suggestioni che ripescano da quegli anni e i protagonisti della serata non sono certo estranei a questo revival.
Il Superbudda è probabilmente il luogo più adatto per una serata di questo tipo: l’ambiente post-industriale, figlio di pratiche di “gentrificazione”, fa da sfondo a una massa nera di corpi abbastanza eterogenei, composta da giovani come da nostalgici, anche nell’aspetto. Questo rende ancora più particolare la scelta di Deb DeMure – l’alter-ego androgino dei musicista losangelino Andrew Clinco – di iniziare il live aprendo un ombrellino celeste, lasciandoci quasi completamente in silenzio in quello che sembra essere un rituale che vuole portarci in un’altra dimensione. Il problema è che non bastano teatralità, aspetto bizzarro e continui rimandi a sonorità ‘80s per convincere il pubblico, che sembra quasi annoiato. Se “The Demonstration” è, almeno su disco, una sintesi tra i Cure e Ziggy Zardust, sostenuta da synth lussureggianti e solenni, nei quali non mancano venature più pop, il problema è che, dal vivo, la resa è piuttosto piatta e l’immobilismo dei due personaggi in scena non aiuta.
Arriva dunque il momento dei Cold Cave. Wesley Eisold è, indubbiamente un personaggio affascinante, quasi iconico all’interno del circuito underground: band come Some Girls e American Nightmare sono infatti state un parametro di confronto per moltissimi gruppi emergenti. Cantante camaleontico e tormentat, sembra aver trovato un punto di stabilità in Cold Cave, come dimostrato dalla grande produttività degli ultimi anni. Il progetto viene definito da lui stesso “solista”, tant’è che sono stati diversi i turnisti che lo hanno accompagnato nei live, tra i quali anche Prurient. Attualmente, invece, la formazione è completata da Amy Lee e Max G Morton.
Avvolti dal buio per la maggior parte del loro set, tranne che per i visual minimali che fanno da sfondo, i Cold Cave gettano un’ombra su tutta la stanza, resa ancora più drammatica da un massiccio uso di fumi da giostra. Il set pesca da quasi tutta la discografia, proponendo alcuni dei pezzi più conosciuti come “Love Comes Closer”. Il loro sound è fortemente radicato nel post-punk e nella synthwave, dando sfogo in alcuni tratti a violente esplosioni di elettronica, come nel caso di “Icons of Summer”. Eisold è un vero animale da palco, probabilmente conscio del suo fascino, che non si ferma per più di un’ora, ad eccezione di quando lascia il microfono a Morton per “Heavenly Metals”, uno dei brani più particolari della band in quanto l’unico che sceglie la forma dello spoken word. Un live dal ritmo sostenuto, che si perde in martellanti beat ‘80s, electro-noise e paesaggi sonori creati da synth affilatissimi che mantengono però una sorta di pragmatica freddezza. Si passa così ad altri episodi storici, come “People Are Poison”, “A Little Death To Laugh” e la sognante “Confetti”, un pezzo che ti fa pensare a come sarebbero stati i Talking Heads con Ian Curtis alla voce. In conclusione arriva uno dei miei preferiti, “The Idea Of Love”, del quale viene proiettato il video realizzato da Amy Lee sullo sfondo.
Sarà il mio malinconico romanticismo, ma se dovessi dirigere un remake de “Il cielo sopra Berlino”, farei incontrare Marion e l’angelo con in sottofondo i Cold Cave. Del resto, come si può non innamorarsi di una voce così?