CLOSET WITCH, S/t
Tredici schegge impazzite di sporchissimo e incontaminato grind core. Nella sua forma più pura. Nella sua sostanza più torbida. I Closet Witch non impiegano molto a urlare il loro dissenso, intercalando un parossismo sonoro che fa sanguinare i timpani. Dopo svariati split album e demo, questo debutto dimostra tutta la bravura – e anche un po’ il mestiere – della band americana, che sa destreggiarsi con grande classe su terreni davvero marcissimi, andando a lambire anche quelli crust punk, piuttosto difficili da far rendere. Se non si è dell’ambiente, non sempre si riesce a far emergere tutto il putridume che si ha dentro. Loro ci riescono. Gli Agathocles sono dietro l’angolo che strizzano l’occhio, ma i Closet Witch sono bravi a personalizzare le parti più consone al genere. I Disrupt o le ultime generazioni di casa Relapse hanno qualcosa di simile nello spettro sonoro, ma questo poco conta. A riuscire meglio al quartetto americano sono le dissonanze sulle chitarre, soprattutto nelle parti più lente. Sarebbe superfluo analizzare una canzone o un’altra, perché tutte sono una bordata fulminea che annichilisce. Non scoraggerà sapere che la voce arriva dall’altra parte del cielo. O dell’inferno. Un album che nulla aggiunge al grind core ma che comunque dà linfa vitale al genere grazie a purezza, sincerità e passione.