CLOCK DVA, 25/1/2014
Bologna, Locomotiv.
Da una manciata d’anni in Italia le date live dei mostri sacri industrial, post-punk et similia spuntano fuori come funghi, dando la possibilità anche ai nuovi fan di poter andare a un concerto (si spera di qualità) della loro band storica preferita. Si parla di gruppi che – affermazione banale ma in fin dei conti veritiera per chi ha meno di trent’anni – almeno una volta nella vita vanno visti, anche se ora stai ascoltando tutt’altro e hai smesso di seguirne i passi. Death In June, Swans e Einstürzende Neubauten hanno toccato parecchie città italiane negli ultimi anni, poi ancora Psychic TV ed Ex-TG sono stati protagonisti di episodi quasi unici (per motivi evidenti, nel caso di questi ultimi), richiamando un folto pubblico da tutt’Italia, riempiendo teatri e location varie. I Clock DVA si trovano sicuramente nel cofanetto d’oro delle band post-punk, ma la loro unica data a Bologna è stata annunciata con troppo poco anticipo per poter consentire a molti di organizzarsi con spostamenti, impegni e treni. Il Locomotiv Club è infatti pieno per tre quarti, con un pubblico che durante la performance si dimostra insolitamente discreto.
Il live tarda a iniziare, nel frattempo Piero Balleggi (Neon) intrattiene i presenti con tracce e proiezioni video (tornerà alla console a concerto finito in un dj set composto da classici dark, intervallati da qualche chicca). Adi Newton sale sul palco in divisa sci-fi con occhiali e camice bianco, spazzando via in un attimo il disappunto del pubblico per l’attesa. È seguito da Panagiotis Tomaras, giovane artista multimediale greco che dal 2013 collabora in pianta stabile con lui nel realizzare installazioni video-sonore durante le sue performance, e non solo.
Il live si concentra principalmente sugli anni più recenti della produzione di Clock DVA, proponendo tracce tratte da Post-Sign, piccola perla messa alla luce l’anno scorso, che contiene lavori prodotti in passato da Newton in Italia e intorno ai quali ruota principalmente la collaborazione con Tomaras. I due operano all’unisono un’oretta su “Phase IV”, “Transitional Voices” e “Sigma 7”, per un ampio sguardo sugli anni Novanta, andando poi indietro nel tempo con brani tratti da Thirst” e “Buried Dreams, per non deludere gli affezionati agli anni Ottanta e ai pezzi più classici, che riscuotono sempre maggiore entusiasmo dal pubblico, silenzioso ma attento. Le proiezioni spaziano tra video d’archivio e toni acidi, catturando gli sguardi e incrementando l’adrenalina in un contesto già reso ampiamente lisergica dai i suoni. Viene concesso un bis dopo un live che, in una concezione personale del tempo, è apparso fin troppo breve, ponendo una lunga versione di “The Hacker” in chiusura a un evento completo e di qualità, ben lontano dalle noiose reunion alle quali a volte si è costretti ad assistere e in cui vengono riproposte le stesse cinque-sei tracce storiche e stop. Quasi non sembrava d’essere in Italia.
Grazie a Raffaele Turci per le foto.