CLITERATI, Ugly Truths / Beautiful Lies
Ci siamo già occupati in termini oltremodo positivi del debutto della band di Portland, che vede alla voce Ami Lawless, originaria di San Francisco e conosciuta ai tempi in cui guidava i Voetsek. Logico quindi che la curiosità per il primo album fosse tanta, soprattutto perché ci troviamo di fronte a chi porta ancora avanti una visione di hardcore punk consapevole e devota ai principi cardine di una scena a cui interno la musica dovrebbe rappresentare solo uno degli aspetti da tenere in considerazione. Del resto, basta osservare l’artwork firmato dal giapponese Sugi (Doom, Death Side, Hellshock) e leggere i titoli dei brani per comprendere come le aspettative, almeno da questo punto di vista, non siano andate certo deluse e come la percezione di un effetto positivo (l’unico) dell’attuale presidenza statunitense sulla cultura antagonista fosse del tutto fondata. Portland, in fondo, ha sempre avuto un forte legame con il crust e la variante più politicizzata dell’hardcore, non stupisce pertanto vederla dare i natali a una realtà che utilizza una musica veloce e ruvida, senza orpelli di sorta, per dar voce e corpo al proprio dissenso nei confronti di una società in cui egoismo, razzismo, omofobia e xenofobia viaggiano a braccetto con la crisi economica e l’incapacità di guardare al di fuori del proprio orticello, nel nome di un’idea tanto antiquata quanto malintesa di patriottismo. Non che questa sia un’esclusiva degli USA (inutile ricordarvi altri nomi nazionali e internazionali in voga in questo periodo), per cui fa piacere ascoltare un album che fonde al suo interno note e parole, brani ben costruiti e capaci di andare subito a mente con la voglia di far passare messaggi importanti e non più scontati, se non altro per offrirci un punto di vista differente da quello che esce dal megafono della propaganda ufficiale, che tenta di mischiare le carte in tavola all’insegna dell’ormai trito e ritrito “Make America great again”. L’aspetto migliore di Ugly Truths / Beautiful Lies è la capacità di confezionare i concetti all’interno di un disco che colpisce come un pugno in faccia senza dover affidare tutta la sua efficacia alla potenza di fuoco, bensì utilizza canzoni che vanno a mente e restano impresse singolarmente grazie all’attenzione per la scrittura di anthem bilanciati tra ferocia e melodia, ritmiche serrate e cori incisivi. Tutto qui, in fondo, solo del buon sano hardcore sgraziato e capace di assorbire al suo interno tanto il d-beat quanto certo punk feroce e poco addomesticato. Loro si definiscono “old school d-punk party crust attack!”, il che, oltre a sembrarci perfetto, comprende anche una certa voglia di divertirsi e prendere il tutto con la giusta ironia, altra caratteristica importante della formazione. In poche parole, supporto totale.