CLEARED, Of Endless Light
La prima cosa da sapere è che amano i minutaggi lunghi e gli elementi che si aggiungono con cadenza organica. La seconda è che, per i tempi attuali e l’ambito di ricerca, è una discografia alquanto contenuta quella dei Cleared di Chicago, duo composto da Steven Hess (lo si conosce bene da queste parti per il suo operato coi Locrian) e Michael Vallera. Poche uscite ma profilo qualitativo alto e “sorvegliato” sotto tutti gli aspetti. In altre parole: si sente che è gente a cui le cose piace farle bene. Non so se The Key, il disco precedente, sempre su Touch, abbia dato loro una visibilità maggiore per via del prestigio del marchio. Ma quel che è certo è che va recuperato, sia per il mood che lo lega a questo in esame, sia per la sua particolarità. Sì, perché è una specie di doppio album: alle quattro composizioni autografe del duo seguono gli stessi pezzi remixati da Philip Jeck, Christian Fennesz, Bethan Kellough, Olivia Block. Tutta gente perfettamente sulla loro linea di tiro. Che fa emergere, ognuno con la sua sensibilità e portato d’esperienza, aspetti magari nascosti negli originali o nuovi sistemi di relazione tra gli elementi in gioco. Una radiografia intima affidata agli amici e allo stesso tempo una patente d’appartenenza. Ma addentriamoci in questo nuovo Cleared. Flussi di velluto in solitudine appartata che sembrano dirci di un tempo smangiato ai bordi dal suo procedere orizzontale (“First Sleep”); tenue linea di galleggiamento ritmico e correnti ascensionali con squarci d’emotività che crepitano (“Of Endless Light”); partenza drone severa che cambia gradualmente di segno attraverso l’immissione di elementi morbidi (“Dawn”); fondali oleosi da elettronica riduzionista e pulsazioni dub fantasmatiche per una cosa vicina nello spirito alle destrutturazioni languide di un Pinkcourtesyphone (“Pulse”); tintinnii di campane che farebbero felice il David Shea dell’ultimo disco su Room40 (“Blue Drift”); cartolina dei saluti dove i colori sembrano prendere vita dopo tanti banchi di nebbia (“Walking Field”). È inutile girarci intorno o sforzarsi di aggiungere altro: tra quanti trafficano in quella terra di mezzo dove deep drones, minimalismo, estetica Kranky si compenetrano, Hess e Vallera sono i più bravi e preparati. Scommettiamo che vedremo comparire questo disco in molte playlist di fine anno?