CLAUDIO MILANO
Quella di Claudio Milano è una storia singolare, per molti versi paradigmatica di un modo di agire nella cosiddetta “industria culturale” del Belpaese (per citare anche l’amato Antonio Moresco). Se non si fa parte del famigerato “giro giusto” (e qui ci riferiamo al pezzo di Bugo), se non si riesce insomma a captare quegli appassionati, e soprattutto quegli addetti ai lavori che più o meno contano, risulta difficile affermarsi senza sembrare dei carbonari che agiscono “rancorosi” nell’ombra. Tutto ciò ha certamente il suo paradossale fascino, forse, noi invece riteniamo giusto dare voce a quello che ci sembra un vero talento. Il lavoro del musicista pugliese meritava di venire approfondito a dovere, perciò abbiamo ritenuto opportuno confrontarci con lui in maniera diretta, e Milano, in modo altrettanto schietto, ha accettato la sfida. Leggetevi la lunga intervista che ci ha rilasciato.
Ciao Claudio. Parto da una considerazione che ho fatto dopo ripetuti ascolti di Bath Salts / L’Enfant Et Le Ménure: è un lavoro mastodontico e pieno di riferimenti ed ospiti prestigiosi. Chi te l’ha fatto fare?
Spaghetto (amichevolmente), tu mi provochi ed io… Perché no? Qualcuno si fa problemi quando esce un libro mastodontico e dai tanti riferimenti culturali come “Canti Del Caos” di Antonio Moresco? Qualcuno si rifiuta di andare a vedere “Inland Empire” di Lynch, perché troppo strutturato nell’organizzazione dei piani spazio e tempo? Queste domande ce le si pone solo quando un pesce piccolo fa qualcosa del genere. Non ho paura della corrente, l’ho avuta sempre contro, ed è giusto sia così quando si fanno delle scelte radicali come le mie, non cerco applausi preconfezionati. Io faccio musica perché ne ho bisogno, è il mio modo di parlare alla gente e di cose da dire ne ho frotte (che poi interessino o meno è un altro discorso, ovviamente). Non me l’ha prescritto il dottore, e non è un’alternativa alla “bachata al buio” del sabato sera o ad uno “schiuma party” per trovare l’anima gemella.
Non era previsto che il doppio NichelOdeon e il doppio InSonar fossero pubblicati assieme. Quest’ultimo è un disco che è stato rigettato da qualsiasi etichetta discografica per un anno e mezzo, e non riuscivo a concluderne il mixaggio tanta era la rabbia. Mi veniva detto che era troppo impegnativo assumersi la responsabilità di tanti nomi coinvolti (tutta gente con cui ero in contatto – per stima reciproca – dai tempi dell’exploit di MySpace, e dunque non si trattava di un’adunata discografica a suon di quattrini, organizzata da un milionario) e per una musica ritenuta troppo poco leggibile. A ogni musicista è stato chiesto di sentirsi libero di sperimentare tutte le potenzialità del suo strumento, ma con poesia. Ho assistito a una gara di networking a chi più giocava con passione con la materia suono, è stato come aprire il petto al mondo e trovarcelo dentro già tutto, pronto a farmi “ciao ciao” con la manina. Dopo un concerto al Bloom di Mezzago con Vincenzo Zitello e parte degli Area, tanto Vincenzo che Paolo Tofani e Walter Calloni m’hanno mostrato voglia di realizzare qualcosa assieme. Ne è nato Bath Salts, a nome NichelOdeon (che è il moniker che uso quando mi dedico a un diario più intimo, InSonar è un progetto più estroso), principalmente grazie al grande supporto ricevuto da Raoul Moretti e Pierangelo PANdiscia. Un disco partorito in un periodo schifoso, tra gravi problemi di salute che non mi garantivano neanche la possibilità futura di poter continuare a usare la voce, una relazione decennale andata a male, pellegrinaggi tra una casa e l’altra, congelamenti di stipendi, furti, infortuni. Un disastro.
Quel disco è stato la mia unica salvezza, ed è il mio preferito fra quelli a cui ho preso parte: trasformazione di veleno in medicina. Mai trovata tanta serenità e giocosità professionale in studio, e ringrazio Loris Furlan di Lizard Records, Patrick Preissner di Carabà Edizioni, Stefano Ferrian di dEN Records (più i finanziatori di Musicraiser, quelli che hanno acquistato la mia collezione di vinili e di libri, Achille Magni su tutti, produttori inclusi) per aver messo marchio e faccia appresso al tutto.
A maggio 2013 c’erano due doppi pronti, il tempo della musica oggi è nel momento in cui qualcosa viene partorito, non due/tre anni dopo, avevo già giocato la carta del free downloading con “NO – At Bloom” dei NichelOdeon un anno prima, e avevo percepito puzza di svalutazione, io non sapevo neanche se un mese dopo avrei avuto un apparato fonatorio per poter continuare a cantare e mi son detto “che esca ora, in paradiso, o che se ne stia a casa del diavolo”. Una sorta di testamento, ma non so in quale “casa” sia finito alla fine (rido).
Convieni con me che questo progetto ricorda anche i concept album dei Settanta? È solo una coincidenza o dietro si cela la voglia di ri-costruire proprio un mondo a parte, all’interno di un disco fatto di canzoni/composizioni spesso più lunghe dei canonici tre/quattro minuti?
Scusami, ma assolutamente no. Riconosco di essere stato io per primo ad usare il termine “concept” per la presentazione dei lavori, ma si è trattato della necessità (a posteriori infelice) di veicolare più facilmente con un’etichetta, una parola “spot”, un messaggio che altrimenti sarebbe stato troppo lungo da spiegare. Lo sai, oggi a un musicista tocca essere anche manager di se stesso, se non si fa “indie”.
Gran parte dei testi è stata scritta sotto sedute di ipnosi, o in esercizi di Terapia Strategica Breve, grazie al supporto della dottoressa Edwige Liotta. C’è uno sguardo persistente fuori e dentro di sé, il ricorrente tema dell’infanzia e della violazione dei suoi diritti, della svalutazione della vita (corpi, menti, sentimenti) attraverso le guerre (anche e soprattutto personali), la competizione feroce, il tradimento (cosa che ultimamente mi sta dilaniando) dell’altro da sé al fine di celebrare il proprio ego e i propri interessi economici.
I pezzi durano quanto c’è da dire, un secondo o un giorno. Perché non fai la stessa domanda ai Flaming Lips? Rido… Hai mai visto un film di Warhol ad inquadratura fissa e hai provato a “sentirlo”? Hai mai provato ad entrare nella percezione dello spazio e del tempo di La Monte Young o di Derek Jarman prima che morisse di h.i.v.?. Io sono buddista, posso recitare per ore il mio mantra, sentire il tempo che scorre, percepirlo, ma non averne paura. Non ci sono nelle mie parole folletti e fate mentre sotto casa qualcuno sta stuprando sua figlia, non c’è alcuna voglia di rifugio nel sogno o nell’individualismo come teorizzato e difeso a denti stretti dai “freakkettoni” post-sessantottini, che adesso o son morti tossicodipendenti o sono diventati banchieri. Ascolta The Watch, Il Tempio Delle Clessidre, Not A Good Sign, i dischi di Zuffanti (tutta gente che fa tour mondiali), rapporta la loro musica, i loro testi ai miei, e poi ritorna a farmi la stessa domanda.
L’aggressione che la critica tutta ha mostrato nei riguardi di tutto quanto si è prodotto tra il 1966 e il 1976 è uno degli errori da tempo riparato all’estero, dove ben si è capito come nel calderone di qualche facile etichetta sia finito qualsiasi fermento che si sarebbe sviluppato nei decenni a seguire, fino ad oggi. In Italia, invece, l’industria discografica, in accordo con le riviste musicali, ha capito che si potevano fare un mucchio di soldi sui “personaggi”, che bastava una bella faccia, tanta arroganza e quattro accordi messi a caso/cazzo (altro che il tanto decantato “minimalismo”, che non c’è mezzo critico capace di spiegare cosa sia stato davvero, in ossequio alle canne e alle trombate che si è fatto negli anni di studio al DAMS, altro che “elogio della semplicità”, non c’è nulla di più complesso della musica seriale). Sono nate delle bellissime lobby, fatte da tanti “uno di noi”, alias bimbetti annoiati con una chitarra in mano, quelli sì, arroganti e presuntuosi, che fanno saltare la gente “bella zio” mentre si scola qualche litro d’alcool in un locale. “Bimbiminchia” che non hanno minima coscienza/conoscenza storica, e attorno ai quali campano grandi artisti prestati al ruolo, più o meno redditizio, di produttori e artefici di confezioni sonore, senza le quali quelle quattro-canzoni-quattro, che ascoltiamo dai primi Novanta, definite “indie”, sarebbero ridicole, e i cui testi alla seconda birra non li ascolti più, perché stai già pensando a chi portarti a letto tra chi è nel pubblico o sul palco.
Chiedo davvero scusa se suono volgare nel linguaggio, ma credo oggi non ci sia nulla di più volgare che non arrabbiarsi davanti a tanta schifezza, spero nessun bambino legga queste parole.
Credi funzioni così nel teatro, nella danza, nelle arti visive? Anche lì c’è un generale imbarbarimento, ma lì non si è (ancora) toccato il fondo. La musica è la più generosa delle arti, perché “attraversa”, ma è anche la più vulnerabile perché l’inferno in cui la critica musicale è precipitata da un paio di decenni ad oggi, assieme agli apparati di fruizione musicali, hanno fatto del gusto personale l’unica frontiera possibile. Passeranno secoli prima che i nostri nipoti gettino in una fogna un dipinto di Picasso (e non perché ora lo capiscono, magari! Solo perché la comune morale e il suo valore economico attuale non lo permettono), ma noi abbiamo già tirato lo scarico su Schönberg, Ligeti, Messiaen, Penderecki, Xenakis, Coltrane, Ayler, Miles Davis, Sciarrino, Donatoni, Stockhausen, Scelsi, Romitelli, Schaeffer, Diamanda Galás, Tim Buckley, Frank Zappa, Brian Eno, Robert Wyatt, Scott Walker, e chi più ne ha più ne metta. La musica è stata ridotta al rango della politica e del calcio, tutti ne sono spettatori e credono di esserne esperti, ma ne sono solo “voyeur” che portano soldi in tasca a della gente che spesso farebbe meglio a starsene a casa a lavorare per il bene comune.
L’unico concept della mia vita quindi è la mia vita stessa, tutta quella che, senza mezzi termini, metto in quello che faccio, da una parola a un sospiro a una nota, al packaging, al sudore sul palco, o su un marciapiede, quando lavoro come musico da strada.
Il tuo strumento principale rimane comunque la voce…
Ogni voce è uno strumento. Esteso, povero, scordato, tecnico, virtuoso, passionale, freddo, comunicativo. Tu canti? Così non fosse sarebbe un peccato, aiuta a vivere.
Sei pugliese, ma hai vissuto (o vivi ancora, non so di preciso) al Nord. Perché hai deciso di lavorare in altre parti d’Italia, e quali differenze hai trovato tra le due realtà, diciamo piuttosto diverse del nostro paese? Ti faccio questa domanda perché anche io ho origini del Sud, e mi piace confrontarmi sulla questione.
Sono ritornato a vivere stabilmente in Puglia da sei mesi a questa parte. Mio padre (che ora è diventato un angelo) mi ha cacciato di casa a diciannove anni, dopo che gli avevo detto d’essere omoaffettivo e dunque anche omosessuale, credo non sapesse neanche cosa stessi dicendo, e non lo sa neanche adesso. All’epoca lasciò mia madre per sei mesi andando a vivere in provincia di Bari, da sua sorella testimone di Geova (una “buonanima” che ha affogato il primo figlio in un fosso, perché non poteva tenerlo, e che si è sempre vantata del fatto che suo padre, cioè mio nonno paterno, aveva seccato a colpi di pistola un uomo reo di tenere per mano una mia vecchia zia), mentre “mammina” (mia attuale confidente, per quanto inguaribilmente e ossessivamente infelice rispetto a quello avrebbe voluto di me, e non sono) ha portato il lutto per un anno, per celebrare la “morte” del figlioletto Claudio.
Lo dico coscienziosamente, senza patemi di sorta, solo perché “parlare limpidamente” in Puglia, vuol dire togliere fiato alla Mafia, che è parte integrante della nostra cultura, che tutto mette a tacere. Ho sempre amato molto questa terra, che però mi ha ripudiato senza alcuna vergogna, sono stato oggetto di violenze fisiche, sessuali e psicologiche, in famiglia e/o fuori, dai tre anni fino a quando, mio malgrado, sono andato via. Negli anni successivi ho cercato di sciogliere nodi, ricucire fili strappati (cito il mio amore per Brecht e la signora Biolcati), tante cose sono cambiate in me e chi avevo attorno, ma ad essere onesto una volta ritornato ho trovato la stessa diffidenza di un tempo nei riguardi di tutto quello che viene recepito come “diverso”, solo perché onestamente sincero e libero di esserlo. Il livello di massificazione qui è ben più radicato che altrove. È un delitto che una terra così bella sia popolata da tanta violenza e grettezza deliberata, giustificata.
È una cosa che non risparmia neanche la musica. In Puglia come in nessun altro posto d’Italia (ho viaggiato ben poco all’estero, ma conosco questo paese come il mio orto) persiste il mito del musicista virtuoso, dove per virtuoso raramente s’intende capace nel tocco, nell’aver sviluppato una sua poetica solida, capace di abbracciare ogni aspetto dello spettro sonoro e delle sue applicazioni in relazione al movimento corporeo esterno ed interno. Il virtuoso pugliese è uno che “dimostra”, correndo sullo strumento come un forsennato e seguendo schemi precostituiti, un onanista narciso, in breve. Ogni piccola cittadina è una comunità con personalità carismatiche che “educano” a modo loro ascoltatori pigri direzionandone facilmente i gusti. Un paese diventa “indie”, l’altro “dark”, un altro ancora “jazz” e così via dicendo. Ognuna di queste micro-comunità entra in competizione sterile e comunica con grossa difficoltà con le altre, e tre chilometri sembrano anni luce. All’interno di queste realtà tutto quello che viene reputato “altro” è immediatamente aggredito.
In Piemonte, dove ho vissuto per pochissimo, vige la curiosità, soprattutto in questi anni e a Torino, che rimane la mia patria elettiva al momento (musicalmente, in quanto ad ambiente Lecce è la mia città, e lì finirò col vivere). In Lombardia, terra che m’ha svezzato e oggi è sempre più martoriata dalla necessità di sopravvivere a ritmi che nulla hanno d’umano, c’è un’offerta molto ampia, ma assai in difficoltà nel renderla fruibile, pubblica, le menti creative preferiscono spostarsi in altre regioni. Amo il pubblico romano, per quanto a volte mostruosamente razzista, fascista nell’anima (o per lo meno, questa è l’esperienza che io, in parte, ne ho tratto), ma è assai caloroso e comunque gli voglio e mi vuole bene. Quello romagnolo è di una creatività senza pari. In Toscana si facesse musica e arte quanto se ne parla, sarebbe meglio. C’è un pubblico mediamente più colto che in altre zone d’Italia, ma più diffidente, una volta che l’hai conquistato però, non ti lascia più. Il Friuli è terra di creatività affogata in qualche spritz e troppa rabbia, si producono grandi cose lì, ma non si suona, e un musicista senza un pubblico è uno zombie, e a ben vedere, a tal proposito, credo tu stia parlando con un morto…
Sempre a proposito delle tue origini. Hai collaborato con Valerio Cosi, che è proprio delle tue parti. La Puglia ha dato i natali ad altri artisti importanti per la cultura italiana, mi piace citare anche Carmelo Bene, che per me è musica per gli occhi. Se penso alle cose che conosco mi vengono in mente la Minus Habens Records di Ivan Iusco, il festival Time Zones di Bari, la AFK Records. Sono pugliesi pure Donato Epiro e Fabio Orsi, tutte personalità valide dell’underground di casa nostra…
Te l’ho detto, la Puglia è una fucina incredibile di talenti, i nomi che hai fatto son troppo pochi, aggiungici Karma In Auge, Mauro Corvaglia, Mirko Signorile, Enzo Lanzo, Josed Chirudli, Camillo Pace, Stefano Luigi Mangia (dio che voce!), Fabio Zurlo, Mirko Lodedo, Leitmotiv, Heidi, AcomeandromedA, Egidio Marullo, Gaetano Partipilo, Vincenzo Abbracciante, Zenit, Emanuele Coluccia, e potrei fartene almeno altri cento, solo tra quelli che stabilmente vivono e ancora operano in musica qui (tra chi sta crescendo velocemente, presto sentirete parlare dei Nero Moderno di mio nipote Luca). Valerio, che abita a tre chilometri da casa mia, a Lizzano (io sono a Fragagnano), è la mia antitesi, è schivo, tendenzialmente lunatico, ha un dna protetto da un paio da occhiali da sole anche a “gennaio di notte”, è un artista vero e ne è consapevole, io amo profondamente quello che fa; lui cambia idea un giorno si e uno no in merito a quello che faccio io (che però piace a sua madre, gossip…), anche se in un paio di volte ci siamo incontrati. C’è stata l’occasione di due suoi splendidi cammei su Bath Salts e poi l’interazione al festival “Indigeni”, in un complesso ipogeo, con un progetto, “Adython”, relativo al mio omonimo disco con Kasja Noova, poetessa belga, Alfonso Santimone, Attila Faravelli, Stefano Ferrian, con prefazione di Arrington De Dionyso e dedicato alla figura di Carmelo Bene, nel decennale della sua scomparsa, per il quale a momenti non ci prendevano a sassate. Conosco bene Minus Habens e il lavoro di Epiro e Orsi, con i quali però non sono mai entrato in contatto direttamente. Time Zones ha sfortunatamente sempre meno risonanza a causa di politiche socio-culturali legate all’intrattenimento.
Ci sono realtà teatrali che meritano un grande plauso. Il Tatà e il Crest a Taranto, Koreja a Lecce, il Kismet a Bari, Armamaxa a Ceglie, e decine di jazz club/teatri/osterie/enoteche/masserie/festival/associazioni culturali, location tra le più impensabili con programmazioni da favola, anche e soprattutto d’estate, in barba a un pubblico distratto, assente, con impianti audio da schifo e cachet inesistenti, alternati ad altri improbabili, proprietari di locali che, o ti stendono un tappeto o ti trattano come uno zerbino.
Il problema mostruoso è la comunicazione tra le diverse realtà però. Qui ognuno si sente il padreterno, e mettere assieme due musicisti per farli lavorare stabilmente ad un progetto per più di due mesi è spesso fantascienza, per questioni di ego. L’ho detto e lo ripeto, qui si respira Mafia tutti i santi giorni, mafia che non è fatta da singoli, ma da un sistema culturale. Se qualcuno non t’introduce in un ambiente, non ci arriverai mai con le tue gambe, neanche se sei la reincarnazione di Hendrix, e una volta che ci sei dentro devi essere “piacione” assai a lungo prima di pronunciare un “no”, e quando l’avrai detto nessuno ti garantirà che in quell’ambiente ci sarai ancora il giorno dopo. Gli entusiasmi si spengono in un giorno, appresso a tramontana e scirocco, e tutti si guardano in cagnesco pronunciando un “chi cazzo credi di essere?”, anche quando, nella più assoluta sincerità, tu non stai facendo null’altro che essere “te stesso”. Ti tolgono il sorriso per il solo piacere di farti sentire addosso il loro fallimento, il loro dolore e il compiacimento nel navigare in una melma in cui si è da secoli. E intanto il sole picchia fiero sugli intonaci delle case bianche a seminare meraviglia.
E com’è stato collaborare con i musicisti incredibili che compaiono nell’ultimo disco? solo per fare dei nomi perché sono davvero tanti: Ralph Carney (che ha suonato con Tom Waits), Burkhard Stangl, e poi Ernesto Tomasini, Paolo Tofani (Area), Walter Calloni etc.
I grandi musicisti, se ti stimano davvero, non si fanno problemi a collaborare, è solo se capiscono che nel lavorare con te possono rimetterci la faccia o potrebbero annoiarsi che ti dicono di no. A meno che uno non abbia da pagarli a vagonate come Gigi D’Alessio, ma non mi pare il mio caso, che di soldi non ne ho per pagare neanche le mie di registrazioni. Di me in generale viene apprezzata in particolare la voce, cosa di cui non so se andar fiero.
Vuoi sapere cos’ha scritto Tomasini dopo aver ascoltato “Bath Salts”? Ecco:
22 maggio 2013 11:34
Ascoltarlo per me è stato uno di quegli eventi che capitano poche volte nella vita (non esagero!). Ci sono dei momenti mozzafiato per intensità e pura trascendenza del mezzo. Non era più (solo) musica, non era più (solo) poesia… ero abbandonato ad un turbine di sensazioni imprevedibili, sorprendenti, incomprensibili. Tutto ciò che includo nel mio “manifesto” sull’arte pura si dispiegava naturalmente davanti alle mie orecchie. Una rivelazione! Sentivo la tua passione palpitare in ogni nota (e non solo) e questo trasformava la musica in pulsioni ancestrali e intraducibili con parole! Ti ho sempre ritenuto un grande, lo sai, ma adesso per me sei grandissimo! Tutto il tuo “package” è coerente, consistente e completo (per improvvisare un’allitterazione all’inglese). Che dire? Meno male che esisti 🙂
E poi, Walter Calloni – 17 settembre 2011 17:44:
Gentile M° Milano
per prima cosa mi sento di ringraziarla per aver pensato a me per un’eventuale collaborazione alla realizzazione del suo progetto.
Ascoltando le sue composizioni mi è tornato alla mente l’indimenticabile periodo trascorso con Demetrio Stratos e la grande scuola che fu per me, appena diciassettenne.
Senza fare inutili e inopportuni paragoni, e apprezzando la sua attività compreso il suo impegno per la musicoterapia, le devo dire che le sue composizioni mi sono piaciute molto.
Attualmente mi sto dedicando a linguaggi che racchiudono altri tipi di contaminazioni musicali allontanandomi un po’ da quel mondo, per questo le sono grato di trovarmi adatto per suonare nel suo album ricco di pregevoli ospiti.
… e Paolo Tofani – 01 Dicembre 2011 12:42:
Ciao Claudio
Ho sentito alcune cose che fai con la voce e devo dirti che mi piacciono moltissimo, sarà un vero piacere conoscerti e ascoltare NichelOdeon.
A domani.
Gian Paolo Tofani
E qui mi fermo…
Perché hai scelto proprio le illustrazioni “dark” di Marcello Bellina dei MoRkObOt per L’Enfant Et Le Ménure?
Assonanze, grandi, grandissime, ci siamo scelti. Marcello (Marcio, come vuole farsi chiamare), ha un immaginario che sembra danzare attorno ai miei versi per “L’Enfant Et Le Ménure”, le sue sono fiabe per adulti, o meglio, le fiabe che alcuni bambini ci raccontano oggi, e che odorano di vita vissuta troppo in fretta e senza alcuna retorica. Grande Marcello, grande Effe Luciani, grande Andrea Corbellini, grande Arend Wanderlust e grandi anche Valentina Campagni, Marco Bettagno e Paolo Rosset, con cui ho lavorato in passato.
È arrivato il momento di confessare una cosa: quando anni fa mi mandasti uno dei tuoi lavori (“Il Gioco Del Silenzio”, ispirato se non ricordo male al cinema di David Lynch), dopo averlo ascoltato un paio di volte mi dissi che la voce non mi piaceva, la trovavo troppo enfatica e “tecnica”, quindi decisi di non recensirlo (scrivevo per un altro sito ed ero agli inizi). Non capivo nemmeno tutto il discorso che c’era dietro un progetto come NichelOdeon. Ora, dopo aver avuto rassicurazioni in merito anche da Vittorio Nistri dei Deadburger, mi sono dovuto ricredere, e ho incominciato a comprendere meglio la tua ricerca musicale. Sono l’unico, che tu sappia, che in principio ha avuto questa reazione?
Vittorio sa quanta venerazione ho per la sua musica.
In merito alla tua domanda… boh, prova a chiedere in giro. Non è molto elegante quello che scrivi eh? (sorrido), ma è bello che tu abbia la capacità di ricrederti e sia onesto, in parte, perché se la butti giù così, probabilmente quello che faccio non ti convince appieno neanche ora (sorrido ancora…). Per me la tecnica è funzionale a quello che ho da dire, è un mezzo ma assolutamente non un fine. Se ho gambe buone per girare per il mondo intero, perché starmene nel mio giardino? Se ho curiosità poco o per niente esauribile, perché non darle “voce”? Se posso indagare tutti i suoni del mondo col corpo e l’energia che ho a disposizione, perché devo negarmi questa possibilità? Posso essere felice emettendo lo stesso suono per un’ora, ma se avverto il desiderio di dipingere un quadro più ampio, non saranno certo un migliaio di critici cresciuti a pani e rutti ad impedirmi di farlo. Me ne assumo le responsabilità.
Ora una domanda te la faccio io. Quanti di questi nomi conosci?
Antonin Artaud, Yma Sumac, Cathy Berberian, Tim Buckley, Peter Hammill, Alan Sorrenti (era “Aria”), Demetrio Stratos, Giuni Russo (era “Energie”), Meredith Monk, Patty Waters, Yoko Ono, Yamatsuka Eye, Tran Quang Hai, Massimo Arrigoni, Danio Manfredini, Joan La Barbara, Nina Hagen, Diamanda Galás, Dagmar Krause, Catherine Jauniaux, Lisa Gerrard, Antonella Ruggiero, Iva Bittová, Bobby Mc Ferrin, Gisela Rohmert, Angelo Manzotti, Aris Christofellis, Radu Marian, Philippe Jaroussky, Cecilia Bartoli, Phil Minton, Jaap Blonk, Koichi Makigami, Paul Dutton, Al Jarreau, David Moss, Mike Patton, Arrington De Dionyso, Viviane Houle, Roberto Laneri, Amelia Cuni, Paola Tagliaferro, Nusrat Fateh Ali Khan, Albert Kuvezin, Sainkho Namtchylak, John De Leo, Romina Daniele, Cristina Zavalloni, Katya Sanna, Petra Magoni, Oskar Boldre, Patrick Fassiotti, Raffaello Regoli, Renato Miritello, Boris Savoldelli, Albert Hera, Flusso Del Libero Suono, Dalila Kayros, Stefano Luigi Mangia, Arturo Testa, Simone Tilli, Esteban Vidoz, Maria Pia De Vito, Rachelle Ferrell, Sabrina Sparti…?
È una lista della spesa, lo so, ma è per dirti che sono stato preceduto e sono circondato da gente infinitamente più capace di me tecnicamente, che un critico rock medio confonderebbe con Al Bano e baratterebbe con Manuel Agnelli, in blocco.
Se la mia voce non ti è piaciuta, credimi, non è per questioni di “tecnica o enfasi”, ma per l’emozione che comunica, che entra in risonanza con alcune tue corde generandoti fastidio, comunque un’emozione. Succede a molti ed è la ragione per la quale, o mi ripulisco per bene dentro (e ce la sto mettendo tutta), o non godrò mai di particolare considerazione al di fuori dei circuiti di musicisti e critici musicali “di una certa”. Amen.
Intanto, che io lo voglia o meno devo volermi bene così, e in realtà… mi piaccio abbastanza (rido).
Scrivi anche di musica, tra l’altro. Come ti approcci alla recensione di un disco? Hai un metodo tutto tuo?
Non sono un critico musicale, ma un musicista che scrive di musica. Semplicemente quando una produzione, tanto più se poco nota, mi fa muovere le dita, inizio a scriverne. Troppa roba anni luce superiore ai circuiti indipendenti in bella vista è destinata a finire male, e prima ancora di pronunciare mezzo suono. Auguro a tutta questa gente che la vita sia generosa con loro negli affetti e in altre realizzazioni, quanto la musica non riesce ad esserlo. Così non fosse, potendo, darei a certi musicisti la mia vita e non scherzo… non fosse per il fatto che nessuno la vorrebbe (rido).
Continuerai a comporre? Lo dico sulla base del fatto che negli ultimi anni s’è sviluppata tanta cosiddetta “fuffa” (perdona il dozzinale sostantivo) e mi viene sempre più il sospetto che dietro a molte band ed artisti ci siano ben pochi “musicisti”. Allo stesso tempo non sono di quelli che vogliono soltanto ascoltare dei perfetti assolo, sia chiaro…
Avevo detto che il box di cui hai scritto sarebbe stato il mio ultimo lavoro, e che dopo mi sarei dedicato solo a concerti. In pochi, troppo pochi invece, hanno voluto farmi suonare, per giunta in condizioni ridicole, quasi sempre “a cappella”, con il costante rifiuto di accogliere le sigle NichelOdeon e InSonar perché “out of field”. La frustrazione è stata pari al sadismo di chi rispondeva alle mail o mi ha sbattuto porte in faccia mentre mi rideva addosso. Durante un ricovero in ospedale, parecchio malandato, ho ricevuto una proposta dal regista Francesco Paladino. D’istinto gli ho detto di no, poi questa testa maledetta s’è messa in moto, s’era già fatta un quadro bello e compiuto e non l’ho voluta fermare, perché era un bel quadro e soprattutto diverso dagli altri dipinti prima. Non credevo di essere così schifosamente bulimico da aver digerito già quattro cd (più due collector’s items, “Neve Sporca” e “Musica Cruda”, in un cofanetto a sei cd, per chi ha preordinato le pubblicazioni, con in mezzo due cose che amo assai, una versione “a cappella” di “Vedrai Vedrai”, dedicata a Patty Waters, e un’improvvisazione sciamanica per voce gutturale e arpa elettrificata suonata con archetto, dal nome “Interior Landscape”) pubblicati neanche un anno prima.
Speriamo questo in arrivo sia il mio ultimo lavoro. Sono stanco Maurizio, credimi, e che qualche “idiota” mi faccia salire su di un palco, non per “farmi un favore” o per assistere a un fenomeno vocale ed emotivo da circo, ma per aprire le orecchie, starsene muto per almeno mezz’ora e pagare se non me, almeno i musicisti con cui voglio suonare: Raoul Moretti, Erica Scherl, Camillo Pace, Josed Chirudli, Sebastiano De Gennaro…
Consigliaci qualche artista che dobbiamo assolutamente conoscere, non importa da dove viene.
Questi i cd che questa sera ho sparsi sul letto. Vorrà dire qualcosa, a parte il fatto che sono assai disordinato, di qualcuno vedo solo il nome dell’autore/band/progetto:
Kurai, Deadburger, Oteme, Butcher Mind Collapse, Stefano Ferrian (“Lophophora”), Dalila Kayros, Stefano Luigi Mangia (“Glad To Be Unhappy”), Almagest!, Tomasini/Palumbo (“Canes Venatici”), Othon/Tomasini (“Digital Angel”), Starfuckers, Colin Stetson, Nate Wooley, Fennesz, Sunn O))), Ulver (“Messe I.X-VI.X”), Aidoru, Transgender, Rosolina Mar, Carne Nera, Bachi Da Pietra, Doubleganger, Luca Pissavini, Katya Sanna (“La Via Delle Stelle”), Lamanaif (“L’Uomo Infinito”), Garden Wall (“Assurdo”), Genoma (“Logos”), AcomeandromedA, Alessandro Grazian (“L’Abito”), Sebastiano De Gennaro, Il Babau e i Maledetti Cretini, Trabant Mobil, Illàchime Quartet, Riciclato Circo Musicale, SADO – Società Anonima Decostruzionismi Organici, Compagnia D’Arte Drummatica, Garamond, Camillo Pace (“Introspezione D’Un Viaggio”), Josed Chirudli (“Sfogliandosi di Pa-e-ssaggio”), Enzo Lanzo (“Rondonella/Boastful Of Speeches”), Fausto Romitelli (“An Index Of Metals”), Orchestra Panica, Scott Walker (“The Drift”), Kate Bush (“50 Words For Snow”), Peter Hammill (“Consequences”), David Sylvian (“Blemish”), Soap & Skin (“Lovetune For Vacuum”), Univers Zero (“Heresie”), Henry Cow (“In Praise Of Learning”), Nico (“The Marble Index”), Towering Inferno (“Kaddish”), Talk Talk (“Laughing Stock”), The Liars (“Drum Is Not Dead”), Carmelo Bene (“Lectura Dantis – cdr live bootleg”), Diamanda Galás (“Vena Cava”), Robert Wyatt (“Rock Bottom”), Mark Hollis, Swans (“The Seer”), Current 93 (“I Am The Last Of All The Field That Fell”), Tim Buckley (“Lorca”), Carla Bozulich (“Evangelista”).
Grazie a te e a chi è arrivato fino alla fine, spero si riesca a cogliere un arcobaleno in queste parole e non solo il nero seppia. Che la vita vi colga bellamente e non vi abbandoni più.
Infine dedico questa intervista a Francesco Paladino, per avermi dato una ragione per svegliarmi al mattino e al più piccolo dei miei allievi, Federico, che tanta gioia mi dona.