CHURCH OF MISERY + BLACK RAINBOWS, 5/2/2014
Roma, Init.
Ci sono concerti che attendi con impazienza, quelli per i quali faresti follie, spostando 8000 impegni pur di presenziare. Così succede a me (e mi è già successo) coi Church Of Misery. Quando sono venuto a sapere che avrebbero suonato anche a Roma, non potevo che essere contentissimo, essendomi fatto per ben due volte chilometri e chilometri per andarli a vedere: la prima volta nel 2010, al Sabotage di Vicenza, quando erano in tour con i Death Row (gli ex membri dei Pentagram), l’anno dopo per il MiOdi a Milano. In entrambi i casi furono impeccabili e la loro fu la migliore performance di entrambe le serate. Oggi le mie aspettative, come potrete immaginare, sono molto alte.
Ad aprire ci sono i Black Rainbows, gruppo romano dedito a uno stoner con alcune parti psichedeliche, figlio di Kyuss e Fu Manchu. Sono molto seguiti e conosciuti qui nella Capitale, ma non suonano spessissimo: le occasioni di vederli live non sono così frequenti, l’ultima volta mi è capitato più di due anni fa. Si tratta di un power trio, ma molto energico, che sa dosare a perfezione la componente psych con quella più desertica. Questa sera eseguono diversi pezzi dal nuovo Holy Moon, tra i quali la title-track e “Behind The Line”. Sono un po’ derivativi come proposta, ma riescono sempre a divertire, esibendosi di fronte a moltissima gente. In chiusura mettono “Black To Comm”, cover degli eroi indiscussi di Detroit: gli MC5.
Terminato lo show dei Black Rainbows, è finalmente il turno dei Church Of Misery, che, come di consueto, attaccano con “El Padrino”, opener del loro precedente album, Houses Of The Unholy, che però risulta un po’ “spenta”. C’è qualcosa che non va: i pezzi seguenti sono quasi tutti più rallentati che su disco, il che in alcuni casi potrebbe divenire un punto di forza, non fosse che l’esecuzione è un po’ debole. In particolare, il cantante Hidehi Fukasawa sembra molto più distante e distaccato rispetto alle altre volte, dove era sempre vicinissimo al pubblico (come se stesse per fare stage diving da un momento all’altro). La scaletta, va detto, è davvero ottima: ci sono quasi tutti i loro pezzi migliori. Da “El Padrino” fino a “Megalomania”, da “Killfornia” a “Born To Raise Hell”, con la sola “Brother Bishop” dall’ultimo disco Thy Kingdom Scum. A fine concerto mi è impossibile fare il paragone gli altri due ai quali ho assistito: la differenza s’è sentita e i Church Of Misery erano evidentemente stanchi e provati dal tour. Nonostante ciò, è stato comunque un immenso piacere incontrarli per la terza volta, e credo che in futuro farò di tutto per ribeccarli, sperando però di non dover a tutti i costi farmi un’altra trasferta.