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CHRCH, Light Will Consume Us All

Se si pensa alla California, in genere si immaginano un panorama assolato, l’estate, colori vividi e corpi abbronzati. Di sicuro si fatica ad associare lo stato delle arance al doom e all’oscurità che porta con sé, eppure è proprio dalla California e più precisamente da Sacramento che arrivano i Chrch, formazione entrata di recente nella scuderia Neurot e artefice di un album che consta di sole tre tracce, ma impressiona per la forza d’urto di una scrittura dolente, mesmerica, rabbiosa e ricca di pathos.

Note sospese e trascinate sostenute da un drumming potente e da riff perentori, sui quali si staglia una voce sofferta, rabbiosa, urticante, che non fa la minima concessione a leziosità e stucchevoli afflati epici: nella scrittura dei Chrch si riscontra invece una tendenza netta ad alternare muri di suono e spazi vuoti, colate di pece e momenti di sospensione in cui l’eco delle note rimbomba come una presenza/assenza. Non è il classico disco che ci si aspetterebbe su Neurot, né tantomeno il tipico album doom che potrebbe uscire su una qualche etichetta metal, non è “post” né tradizionale, ma un ibrido che mantiene intatti tutta una serie di archetipi, affrancandoli però dalla routine per creare qualcosa dal forte impatto e dal marcato aspetto immaginifico, così da trascinare l’ascoltatore all’interno di un universo tanto crudele quanto affascinante nel suo riempirsi di sfumature differenti, di continui cambi di tensione.

Se la paura è quella di una proposta troppo statica ed eguale a sé stessa, i Chrch fanno presto a fugarla e riescono nella non facile impresa di piazzare persino qualche passaggio in grado di prendere alle spalle l’ascoltatore, come ad esempio sul finale di “Infinite”, dove giunge inaspettata una pulsione corale che porta improvviso uno squarcio di luce all’interno della grotta e dona speranza laddove sembrava impossibile, oppure nella dolcezza delle clean vocals che si affacciano su “Portals”. Ancora una sorpresa in chiusura, con un’accelerazione che colpisce allo stomaco e scombina ulteriormente le carte in tavola, per sigillare nel migliore dei modi un lavoro che sarebbe un vero peccato passasse inosservato, almeno dai cultori di queste sonorità.