CHOUK BWA & THE ÅNGSTRÖMERS, Vodou Alé
Nell’immaginario comune il vudù viene affiancato a magia nera e fatture a morte, a bamboline e spilloni, mentre, in realtà, costituisce una religione a tutti gli effetti, un culto sincretico che unisce cattolicesimo e religioni ancestrali africane, tipico di quello che è uno dei paesi più poveri della Terra, Haiti. Terreno di studi ben frequentato dai percussionisti europei – nonché oggetto di raccolte dedicate da parte di label xenomani come Strut o Soul Jazz – è la musica haitiana legata al vudù, al cui interno le complesse polimetrie ritmiche di diretta discendenza africana assumono un ruolo primario.
Vodou Alé è solo una delle ultime manifestazioni d’interesse da parte del Vecchio Continente nei confronti della musica di Haiti, ma, attualmente, “rischia” anche di essere fra le migliori divagazioni sul tema. Il disco nasce dall’incontro fra il gruppo haitiano Chouk Bwa – fondato nel 2012 attorno alla carismatica figura di Jean Claude “Sambaton” Dorvil – e i producer Nicolas “Ripit” Esterle e Frederic Alstadt, di base a Bruxelles: gli interventi dei belgi hanno la capacità notevole di insinuarsi tra le pieghe delle invenzioni haitiane, ma senza smanie di protagonismo e senza minare l’efficacia del costrutto ritmico, anzi: andandosi ad amalgamare ad esso lo corroborano e danno luogo a una sorta di mimesi timbrica che fonde le elettroniche con tamburi e cori in un trascinante flusso tranceinduttivo. Si discosta dal resto “Peleren”, un toccante “spiritual” in cui, deposte le percussioni, il cantato si accompagna irrequieto al frinire incessante di un notturno tropicale. Uscito in primavera per la svizzera Les Disques Bongo Joe, Vodou Alé è tra le cose migliori ascoltate nel 2020.