CHILDREN OF TECHNOLOGY, Written Destiny
Sono già trascorsi sei anni dalla pubblicazione di Future Decay, secondo album dei Children Of Technology, un lasso di tempo decisamente lungo che la Hells Headbangers ha riempito con la raccolta Apocalyptic Compendium – 10 Years In Chaos, Noise And Warfare, un compendio di tutto ciò che la band ha realizzato in formato di singoli o split nel corso della sua carriera, quasi un antipasto per questo terzo lavoro che vede la luce proprio a fine 2020. Nel frattempo la formazione ha subito degli assestamenti e vede oggi in azione la coppia DeathLörd e Borys Crossburn, cui si è aggiunto il batterista Dee Dee Altar dei Bunker 66 a completare l’assetto ottimale per un nuovo tuffo nell’underground metal anni Ottanta caro al suono della band. Questa versione “power trio” rende ancora più crudo e abrasivo il sound dei C.O.T., che in più di un caso finiscono per avvicinarsi per affinità elettiva al cosiddetto periodo crust dei Darkthrone, pur senza perdere quella sfumatura futurista che ne ha da sempre caratterizzato la formula espressiva. La mia mente, come già ho avuto modo di scrivere, ha sempre associato il loro immaginario ad alcuni nomi della mia adolescenza come Voivod, Nuclear Assault, Rogue Male, Warfare o Atomkraft, con quel mix di riferimenti metal e sci-fi alla Mad Max a ricordare una fusione tra uomo e macchina più che un mix tra biker e guerrieri medievali che andava per la maggiore al tempo. Dal punto di vista sonoro, come già accennato, Written Destiny guarda alle forme più ruvide e aggressive di metal con le radici saldamente piantate nella prima metà degli Ottanta e con quella patina di sporcizia a tenere lontana ogni patinatura o deriva catchy, per quelli che sono otto anthem in grado di colpire dritto in faccia l’ascoltatore senza troppi complimenti e figli di quella ribellione metal ancora ben distante dal farsi abbacinare dalle lusinghe delle major e saldamente working class nella sua attitudine di strada. Musica per bevute al pub e risse, con in più quella voglia di rivendicare la propria discendenza dal punk più che dalle suite pompose tipiche del rock anni Settanta contro le quali quest’ultimo si scagliava, in fondo lo stesso spirito che animava la prima NWOBHM (si pensi alle origini degli Iron Maiden e al loro legame con tifoserie calcistiche e pub), che poco o nulla aveva in comune con la rappresentazione del metallaro nerd sdoganata e resa luogo comune da lì a poco. Ancora una volta, i Children Of Technology tornano per ricordarci quella faccia del metal che si è un po’ persa nel suddividersi delle varie scene e che in fondo preferiamo, fosse solo per questo meriterebbero la nostra simpatia, il fatto che sappiano anche scrivere della musica perfetta per farci bangeggiare a tempo e caricarci di energia chiude il cerchio e suggella la nostra alleanza.