CHICALOYOH, Paroles Creuses

Chicaloyoh1

Paroles creuses, tu t’endors sur les mots
Pâle et rose, tu déformes l’écho
Âme morose et vide scénario
Douce psychose, abandonne le bateau
Sombre virtuose, tu manies si bien ton fléau

Oggi sono una persona felice, o al limite con meno ansie. Sul finale di Les Sept Salons auspicavo, ma non così immediatamente, un’uscita su cassetta che racchiudesse le ultime home-recording Paroles Creuses, titolo che – nonostante abbia vissuto per quasi un anno in Normandia e il mio francese si sia ormai arrugginito – possiamo tradurre in “parole vuote” o qualcosa di simile, ma se è errato fatemelo notare. È difficile mascherare il mio lato fanatico, ma quest’autoproduzione, limitata a 70 copie, è senza dubbio la migliore uscita di Chicaloyoh, che la espone al mondo intero come artista a tutto tondo. Già, perché oltre alla parte musicale chiusa dentro una tape glitterata, Alice Dourlen questa volta racconta i propri stati d’animo attraverso un meraviglioso libretto composto da ben 15 pagine di poesie (tutte in lingua originale), separate da immagini raffiguranti preziosi cristalli e impresse su una delicata carta velina. Pensieri immagazzinati nel tempo e che finalmente trovano una via d’uscita, spezzando un lungo silenzio interiore. Riflessioni accompagnate da suadenti composizioni sonore, le più malinconiche che abbia sentito, cupe e psych/drone come al solito, ma dal vellutato timbro arabeggiante e felino. Magari è solo una parentesi, ma questa versione da dolorosa musa, da triste chansonnier che narra storie dannate e in stile folk-noir (mi viene in mente la canadese Clara Engel, ma non so quanto sia azzeccato come paragone) piace un casino. Non ce n’era bisogno, ma se ancora non fossi riuscito a spiegarmi perché la adoro, sarebbe bastato leggere tra le righe del testo di “Paroles Creuses”, al momento canzone top del 2015.