CHEF RAGOO, Novecento
Alla fine è uscito, grazie alla neonata Time2Rap. Era da un po’ che avevamo potuto ascoltare delle anticipazioni e seguire la genesi del nuovo disco dello Chef, un concept che rispetta il titolo e non può non richiamare alla mente un grande affresco sulla storia italiana, mi riferisco ovviamente al film del 1976 diretto da Bernardo Bertolucci. Proprio come quella pellicola, l’album di Chef Ragoo segue un filo conduttore che è in questo caso la Roma a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, una città dove culture giovanili si mischiavano e, spesso, confliggevano con altre per resistere al nulla imperante. C’è anche molta autobiografia, tra hardcore punk e rap, storie di disagio e voglia di uscirne, racconti di strada e analisi interiore, con una nutrita pattuglia di amici a dare quell’afflato corale al tutto, da Danno a Brusco, da Dj Craim a Kento, Lucci, Suarez, Ice One, Ugly Shoes, Aban, Little Tony Negri, I Cani, Don Diegoh, Cannas Uomo, Nobridge, uniti spalla contro spalla per riportare alla luce ricordi e incubi mai spariti del tutto. Soprattutto è un disco che racconta quel momento in cui le scene hardcore e rap si toccavano e interagivano, per cui alla fine è anche un racconto sulla Roma punk, che non stonerebbe a fianco di un libro come i Ragazzi Della Collina di Valerio Lazzaretti (su cui mi riprometto di tornare prima o poi), del quale rappresenta un’ideale continuazione cronologica. Tutto è curato, a partire dalla piantina del Bioparco che troverete all’interno del booklet a richiamare uno dei luoghi dell’azione, l’incredibile artwork firmato da Diamond, il ritratto con gatto firmato da Giacomo Keison Bevilacqua, nulla è lasciato al caso e chi come il sottoscritto segue lo Chef da sempre non può non notare quanto completo e ambizioso sia il risultato di questi anni di attesa: per citarne un testo lo si potrebbe definire per scarto in avanti e complessità il Master Of Puppets del rapper romano (forse è lesa maestà, ma credo sia chiaro cosa intendo). Da un punto di vista prettamente musicale, poi, i brani riescono a coprire uno spettro di approcci, umori, sfumature quanto mai ampio, così che ogni traccia ha la sua personalità ben definita e ciascuno potrà trovare quella più vicina alla sua sensibilità e soprattutto quella che nel testo si avvicina di più al suo vissuto, perché beat e note fanno da contorno a storie in cui non è difficile immedesimarsi, almeno se avete vissuto il Novecento, figurarsi se come me ne avete vissuta parte a Roma, addirittura nelle stesse vie e negli stessi luoghi. In fondo non credo fosse differente altrove nel Belpaese perché molti dei richiami sono nazionali, comuni a molti se non a tutti, di sicuro a chi ha un background punk e, magari, ha lasciato che il rap lo tentasse fosse anche solo a livello di ascolti. Novecento è anche un disco cupo e doloroso, ricco di momenti oscuri e di perdite, di dolore e vittoria della sconfitta, un’autoanalisi che coinvolge anche ospiti e ascoltatori, quindi non sempre un viaggio facile eppure perfetto per chi viene da quella scena che mena e sa mettersi schiena contro schiena quando i leoni scendono nell’arena. Lunga attesa ripagata e, come nel caso dei Colle Der Fomento, una certezza anche per chi non ha una stretta dieta di genere.
Tracklist
01. Novecentro
02. Novecento
03. Le Botte E Le Strade
04. Nerd Hop
05. Ritmocabrio
06. I Miei Sogni
07. Guerra Persa
08. L’Uomo Con La Mano Sulla Porta D’Uscita
09. La Fine
10. Tre Passi Nel Delirio
11. Scimmiette
12. La Mia Scena
13. Dimentica Il Mio Nome
14. Sulla Spiaggia