CHAT PILE, Cool World

Chat Pile, Oklahoma City.

Non che avessi troppi dubbi, ma sentire l’attacco e le urla rabbiose di Raygun Busch in “I Am A Dog Now” mi fa capire quanto valesse la pena aspettare l’arrivo di Cool World.

Ancora incredulo per aver perso l’esibizione dei compari Agriculture a Milano, il mio corpo si muove alle moine rock di “Shame”, sporca e radiofonica al punto giusto (e per questo la vergogna è legittima), che chiudendosi in un clangore sempre più bestiale a livello vocale riesce a mettere una toppa al suo riesumare il grunge.

In “Frownland” torna il marchio di fabbrica della band, una vis hardcore pesante che sembra sgranare il calcestruzzo, incastri bizzarri, sporchi e free, un pugno necessario a far passare il messaggio. Cool World rischia: quando sbaglia, lo fa per eccesso di entusiasmo, ma quando indovina l’angolo giusto svela scenari talmente geniali da non crederci, come in “Funny Man”, che sposa i RATM con gli arzigogoli free di certa Chicago bizzarra. Se poi i Chat Pile scelgono di giocarsi brani semplicemente pesanti, beh, hanno pochi rivali, con strutture rodatissime e una capacità perfetta di far pesare i colpi, avendo assimilato annate di stoner e slide a sufficienza.

Fortunatamente c’è spazio per qualcuno dei nostri amati urli hardcore, con “Tape” che ci porta in una comfort zone oscura e maligna. Avanzando, ci irroriamo di disperazione con “The New World”, mentre “Masc” sembra essere un brano nato stoner e cresciuto solitario e malinconico. E del resto, non ci sono stati momenti di giubilo negli Stati Uniti: “I Scream, they Scream”, berciano e non possiamo che crederci. E “No Way Out”, l’ultima disperata traccia, non fa che confermare tutto.

Angoscia, rabbia come sempre, di un bello che sembra incantevole ma che è, in realtà, soltanto Oklahoma City e l’ispirazione di una grande band.