Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

CHARMAINE LEE, KNVF

Parliamo di un bel solista di Charmaine Lee, cantante e improvvisatrice australiana che vive a New York. Al suo attivo varie collaborazioni con artisti con una sensibilità simile alla sua, come C. Spencer Yeh, Ikue Mori e Nate Wooley (con quest’ultimo è inoltre membro della redazione di Sound American, una bella rivista che propone pubblicazioni monotematiche molto interessanti). È uscito in vinile (e digitale ovviamente) per l’etichetta francese Erratum Musical e viene presentato come articolazioni vocali uniche su di un letto di feedback e frequenze estreme, in un contesto in continua evoluzione basato su diverse tradizioni, dal noise a quelle specifiche legate al canto e all’improvvisazione. Voce ed elettronica lo-fi si incontrano con successo in un lavoro disturbante e poetico al tempo stesso (o forse a tempi alternati, a volte serrati e a volte più distesi). Charmaine usa feedback e microfoni di diverso tipo e qualità per “aumentare” e distorcere le varie emissioni della sua gola e della sua bocca, come si trattasse di diversi filtri o colori: più si va nella direzione della bassa qualità e più si aggiungono elementi e sporcizie insite e tipiche del mezzo e della tecnologia usata, che sono ormai timbriche connotate che rimandano a periodi e nicchie specifiche della musica sperimentale, suggerendo mondi differenti alle orecchie dei più appassionati ed esperti di tali musiche. Microfoni di vari livelli di fedeltà, anche quelli a contatto posti sulla gola (tecnica che molti penseranno moderna, immagino, ma che mi riporta all’antichissimo nyastaranga indù, dove si pone una tromba che contiene una membrana ricavata dal bozzolo di ragno sulla gola per modificare il timbro e potenziarne l’emissione) e su pettini, che, opportunamente processati, vengono usati per simulare qualche forma di polifonia e un dialogo tra corpo interno ed esterno. Il corpo, quindi, nella sua interezza, vero strumento musicale che come un sonaglio può contenere oggetti magici che lo fanno risuonare colpendolo dall’interno o può essere percosso o eccitato dall’esterno, richiamando se non le origini, i primi passi della musica strumentale. Il dialogo e la stratificazione tra interno ed esterno ci portano fino alla pisciata nel finale dell’ultima traccia “The Final Futz”. Il piscio può qui sicuramente essere inteso come estensione del corpo e ci richiama, soprattutto in questo organismo opportunamente microfonato, quello ricoperto di oggetti e sonagli, il “corpo amplificato” dello sciamano.

Apro una parentesi: alle origini della musica jazz ci sono gli strumenti delle bande militari, che, finite le guerre, erano abbondanti ed economici, una scelta obbligata per chi non aveva nulla. Forse l’elettronica lo-fi potrebbe essere il corrispondente attuale di questo (con le dovute distanze e differenze tra epoche così diverse, almeno in superficie). Essendo un grande surplus del sistema produttivo attuale, strumenti e componenti cheap sono spesso facilmente modificabili e adattabili alle proprie esigenze, oltre ad avere a volte una certa imprevedibilità e un margine aleatorio per cui si può sacrificare la qualità per ottenere qualche piccola sorpresa, aspetto amato da molti improvvisatori che utilizzano quelli che abitualmente sono freddi prodotti tecnologici. Un tipo di elettronica che, soprattutto se utilizzata per creare un proprio sistema con più elementi che interagiscono e si disturbano o modificano a vicenda, ha molto in comune con quei luoghi e quelle tecniche vocali poco controllabili e che hanno dei modi propri di svilupparsi a tratti indipendenti.

Una voce distopica – in questo caso distopia nel senso di un organo che non si trova nella sua sede deputata – anche in senso metaforico: “La dislocazione di un viscere o di un tessuto dalla sua normale sede”. Cavità della bocca, corde vocali, corpo e cavità risonante, contenuto e contenitore, corpo che produce suoni e ascolta, immagazzina informazioni e le riproduce filtrate e rimodulate a vari livelli. La separazione tra musica strumentale e vocale vacilla nei registri che dominano questo disco. André Schaeffner ci parla di margini strumentali della voce, di un cedimento della parola a favore della musica, di esempi singolari in cui il canto senza parole, il suono incomprensibile o il puro rumore emesso dalla bocca sono partecipi più d’ogni altro della musica strumentale. “Il riso, lo schiocco delle labbra e forse della lingua si ritrovano nel rito religioso o magico di molte civiltà. Lo stesso dicasi per il canto delle vocali e di ogni formula priva di senso con valore sacrale”. L’egittologo italo-francese Maspero ci ricorda che nelle religioni orientali il semplice suono della voce ed ogni forma di rumore vocale possiedono un’efficacia magico-religiosa superiore a quella della sola formula. “Senza dubbio il riso, lo schiocco delle labbra, il sibilo del Creatore, sono ancora fatti materiali ma la loro materialità è ridotta al minimo: ciò che esprimono è racchiuso in un unico suono, indivisibile, prodotto senza un apparente sforzo, in un tempo assai breve ed esprime tutto ciò che si vuole che esprima, perché privo, al contrario della parola, di un concetto determinato”. In questo disco le tracce “False Gravity”, “Whip” e “Bares” sembrano emergere dalle suggestioni di queste parole. “Residual Pulse”, invece, richiama i primi collage più “orchestrati” della musique concrète, con una dimensione narrativa che qui mi ricorda anche quelle sensazioni uniche dei film di Maya Deren. “Milk” si muove su terreni simili ma con un incalzare più frenetico, come i suoni di una giornata compressi in due minuti e mezzo.

Il metodo della Lee si nutre di una sovrapposizione di registri e timbriche come se il suono biologico della voce contemporanea (nonostante o proprio perché guarda alle pratiche ancestrali) e i sottoprodotti elettronici fossero sovrapponibili o comunque perfettamente organici. Il corpo stesso, contenitore della voce e, come dicevamo, suonato da dentro e da fuori, si colloca in un mondo ingigantito e distorto, dove respiro, movimento impercettibile e ogni sfumatura e imperfezione causano lacerazioni sonore, feedback e spessi o sottili strati di rumore bianco oltre ad un ampio ma controllato spettro di onde che va dalle sinusoidali alle quadre, più o meno pure.