CELESTE
Per i meno addentro, quattro album e un ep in quasi dieci anni di carriera potrebbe esser sintomo di band poco prolifica. La verità è che il quartetto di Rhône-Alpes in tutto questo tempo ha preferito concentrare le proprie forze per scrivere dischi validi, senza mai farsi prendere da una sterile smania compositiva. Animale(s), loro ultima fatica, è entrato in molte playlist dell’anno appena trascorso. Una vera e propria scossa sia per la critica del settore, sia per chi li segue dagli esordi o ne viene a conoscenza solo ora. A distanza di tre mesi dall’uscita ufficiale, abbiamo posto qualche domanda al chitarrista Guillame e al batterista Royer, per far chiarezza su questa band che è riuscita a fabbricarsi un proprio genere, difficile da approcciare anche per chi si muove in ambito estremo. Grazie a Pierpaolo Palladino per l’aiuto col francese.
Facciamo un bel salto nel passato: cos’è rimasto dei Mihai Edrisch (dove prima militavano Guillame, chitarrista, e Johan, cantante) nei Celeste di oggi ?
Guillaume: La storia dei Celeste comincia prima dello scioglimento dei Mihai Edrisch, quando il gruppo ancora non aveva un nome e dovevamo ancora conoscere Johan. Lui si è unito per fare qualcosa di ben più estremo e diverso, anche se ci sono voluti più mesi ed un ep per trovare la giusta strada: l’intenzione era la stessa del debut. Dunque non si può dire che i Celeste siano una sorta di lascito dei Mihai Edrisch. Non ho mai composto la minima melodia per quel gruppo, inoltre Johan cantava anche in modo differente. Nonostante non veda alcun ponte tra i due progetti, c’è da dire che di sicuro l’esperienza di Johan ha giocato a nostro favore, sia per la composizione sia per gli artwork, ma anche per organizzare tour e così via.
Tutti rimangono inevitabilmente colpiti dalle vostre grafiche, poi dalla vostra musica. Quanto è stato importante per voi far cadere la scelta su uno stile quasi atipico se rapportato all’immaginario di un gruppo estremo?
Guillaume: Johan ti saprebbe rispondere meglio. Una cosa è sicura: lui si è sempre molto preoccupato che i nostri artwork fossero estremamente curati, singolari e per quanto possibile atemporali. Ha uno sguardo molto critico sulle foto, gli permette di sapere cosa cerca in termini di composizione, luci, di grana dell’immagine, contrasto. Questo lo rende alla fin fine molto esigente, ma proprio attraverso questa selettività riesce a produrre un immaginario forte e singolare. Nonostante spesso, quando ci presentava i suoi progetti, io fossi più scettico che convinto, ho sempre finito per apprezzare la bellezza delle immagini sulle quali lui aveva lavorato, al contrario di certe copertine che mi avevano preso immediatamente e che oggi trovo del tutto superate.
In una vecchia intervista affermaste che nel vostro binomio musica/testo è possibile ritrovare barlumi di ottimismo e nostalgia: in che modo?
Guillaume: Penso che su Animale(s) tu possa trovare questo barlume di speranza e di ottimismo nelle sfumature che noi abbiamo cercato di aggiungere tanto nei testi quanto nella musica. Certo, l’insieme rimane molto oscuro e oppressivo, ma alcuni passaggi sono più trasparenti e respirano. Anche se generalmente dopo questi frangenti è meglio soffocare di nuovo chi ci ascolta! (ride, ndr)
Avete sempre amato giocare coi contrasti: a cominciare dal vostro moniker, fino alle grafiche e, ovviamente, la musica: brutale, maestosa ma anche elegante. In futuro punterete su qualcosa di diverso?
Royer: Al momento non stiamo componendo nulla di nuovo: forse qualche riff, ma nulla più. Non cambieremo radicalmente stile, siamo coscienti di avere una certa identità musicale e quello che troviamo di “nuovo” è qualcosa che pensiamo sia naturale da aggiungere. Forse ci saranno piccole evoluzioni, ma nessun cambiamento radicale.
Spesso l’evoluzione è un’arma a doppio taglio. Il vostro sound, che è considerato molto crudo, ormai è diventato un segno distintivo.
Royer: Pensiamo che il nostro suono non dipenda unicamente dallo strumento di per sé, ma che una grande parte di esso origini dalla nostra maniera di comporre, e specialmente dalle melodie che crea Guillaume. Album dopo album, il nostro sound e i nostri pezzi si sono evoluti, anche se molte volte è capitato di non esserne soddisfatti pienamente. In un certo senso il nostro suono – soprattutto di chitarra – cambierà, anche se sempre in una certa misura.
Le vostre grafiche sono basate sul legame tra il mondo femminile e le problematiche sociali e il male di vivere. Creano un impatto visuale-emozionale molto forte. Il titolo del nuovo album ricalca l’immaginario che vi ha caratterizzato sin dagli esordi. È sbagliato considerare Animale(s) come una summa di tutto questo o invece esiste dietro un lavoro più complesso?
Guillaume: Non sono sicuro di aver capito bene il senso, ma cerco di risponderti al meglio. Animale(s) è un un disco complesso. Innanzitutto per le difficoltà che abbiamo avuto nel farlo nascere, maturare e uscire come doppio album. Da un punto di vista musicale, inoltre, abbiamo tentato senza tregua di oltrepassare i nostri limiti, diversificando gli approcci provando ad andare là dove non eravamo mai stati. Molte idee sono state scartate, considerando però molte strade da seguire per rinnovarci. Il processo compositivo è stato lungo e meticoloso, e per arrivare alla versione definitiva di un brano abbiamo riflettuto e valutato tantissime versioni. Riguardo i testi, Johan non ha scelto certo un modo semplice di esprimersi, imponendosi di raccontare una storia prima di tutto coerente. La tracklist, inoltre, non è stata decisa sino a che non ha cominciato a scrivere. Per arrivare all’artwork, di primo acchito si possono vedere immagini molto dirette, ma per me sono più una rappresentazione figurativa ed estetizzata dei testi, che sono molto più astratti e complicati.
Potreste illustrarci il concept?
Guillaume: Vogliamo mantenere un alone di mistero a riguardo, senza dar modo di “far capire” la nostra musica e i nostri testi. Ognuno interpreti come meglio riesce, lì sta tutto l’interesse. Johan scrive in francese, sicuramente sarà frustrante per chi non conosce la nostra lingua, ma così è…
Il feedback che ricevete è sempre molto grande: qual’è secondo voi, l’aspetto del trademark che più appassiona e incuriosisce gli ascoltatori? Come stanno andando le vendite con Animale(s)?
Royer: È abbastanza difficile definire il nostro stile musicale, penso che abbiamo tentato di combinare i migliori aspetti musicali dell’hardcore, del metal, del doom, del black, dello screamo… Lavoriamo nei dettagli ogni melodia per ottenere ogni volta qualcosa di oscuro. Nei Celeste non c’è molto spazio per melodie o ritmi “fun”: si tratta forse di una caratteristica che ci può definire. Per quanto riguarda Animale(s), a livello di vendite non conosciamo tutti i particolari, ma sembra che vadano bene al momento. Un buon segno è costituito dal fatto che ci sia stato bisogno di una seconda stampa poco tempo dopo la prima.
Che ricordi avete delle varie date fatte in Italia? Avete suonato con i Lento, vostri compagni di etichetta, e i The Secret, che negli ultimi anni stanno imponendo la loro musica in ogni angolo del globo. A quando altri concerti nella nostra penisola? Ci sono band italiane che apprezzate in particolar modo?
Royer: Siamo sempre stati accolti bene in Italia, abbiamo dei bei ricordi del pubblico e manteniamo ottimi contatti coi Lento in particolare, coi quali abbiamo passato anche qualche buona serata! Stiamo preparando un tour a maggio in Francia, Spagna e Portogallo. Al momento non sono previsti concerti in Italia, ma torneremo, questo è certo. Personalmente conosco pochi gruppi, ma Lento e Hierophant catturano la nostra attenzione.
Scenografia ridotta al minimo, poca luce e laser rossi dalle vostre teste: è una scelta per far concentrare l’attenzione sulla musica, più che su di voi sul palco?
Royer: Ci sono tre motivi alla base di questa scelta. Il primo è più personale, è così che noi ci siamo sempre sentiti meglio e più adatti al “live”, più in grado di godere dei concerti. Il secondo è più legato alla resa estetica, qualcosa connesso allo stato d’animo espresso dalla nostra musica. Il terzo è che la musica mescolata ai nostri effetti visivi permette di creare una certa atmosfera e una certa ambientazione, nella quale il pubblico può vivere un’esperienza davvero diversa del live. Qualcuno non apprezza, ma noi amiamo suonare in questo modo!
In che modo scegliete la setlist e su quali brani vi state concentrando ultimamente?
Royer: In generale mischiamo vari pezzi da differenti album, ma suoniamo molto di più quelli recenti. Scegliamo i brani più violenti, efficaci e dinamici, così come certi più conosciuti, che anche noi ovviamente, apprezziamo.
Oltre a Neurosis, Breach e Deathspell Omega, nel vostro sound sento l’influenza del black metal americano, soprattutto quello degli ultimi anni.
Royer: Non credo che il black metal americano ci abbia poi tanto influenzato: puntiamo per lo più a creare melodie oscure, malsane, potenti e dissonanti. Neurosis o Breach certamente, ma dei Deathspell Omega a dir la verità, non ho mai ascoltato nulla.
Molti non hanno apprezzato questa scelta del doppio album, perché la sua durata non lo giustifica. Io ho immaginato ad un legame col concept, marcato ancor più dalla presenza delle lettere (X) e (Y), simbolo dei cromosomi e (forse) altro diretto collegamento con la storia da voi raccontata.
Guillaume: In effetti abbiamo notato questo tipo di critiche, ma si tratta di un ragionamento artistico più che “pratico”. Molte persone sembra non l’abbiano capito, ma quest’album è composto da due parti così come una pièce teatrale può avere due atti. Abbiamo suggerito di materializzare tutto questo con album doppio. È una questione di coerenza, una demarcazione pensata e giustificata, non la volontà di pubblicare un doppio album per il solo piacere di farlo. Quanto alla tua interpretazione, non posso dirti nulla. Ripeto, ciò che conta è che tu ne sia fortemente convinto.
In passato i vostri dischi erano disponibili in free download. Oggi si trovano in rete anche mesi prima della release ufficiale. Cosa ne pensate? Quanto è importante proporre agli ascoltatori più che un semplice disco? In che modo contribuite alla sua creazione?
Guillaume: L’idea di mettere i nostri album in free download è di Johan, in accordo con le nostre etichette. L’aveva già messa in pratica per il secondo album dei Mihai Edrisch, ben prima che i Radiohead si lanciassero in quest’avventura del gratuito! Ci sembrava vano e assurdo batterci contro la pirateria e proteggere la nostra musica. Valeva di più incoraggiare la diffusione dei nostri dischi, così che la gente imparasse a conoscerci e venisse ai nostri concerti, finendo casomai per comprare le copie fisiche dei nostri album, se aveva apprezzato. Una specie di circolo virtuoso, che presuppone in effetti di pensare ai cd/lp in un modo più ambizioso, considerandoli non solo dei semplici supporti.