Caterina Barbieri, i nuovi volti del minimalismo
E poi uno dice che non si deve arrabbiare. Abbiamo dei talenti in casa nostra, non lasciamoli scappare, supportiamoli (che poi è lo scopo principale di questa webzine). Una delle sorprese o novità dell’ultimo anno è senza dubbio Caterina Barbieri: giovanissima e graziosa fanciulla bolognese. Segnatevi, anzi no, tatuatevi questo nome, perché in futuro ne sentiremo parlare a lungo, e se non sarà così, potete cercarmi quando volete e riempirmi di mazzate (tanto non mi trovate, so nascondermi bene).
Il 2014 mi ha lasciato degli ottimi lavori, però sentivo che mancava ancora qualcosa, più o meno come il languorino che si prova nel divorare l’ultima fettina di cassata siciliana. Stare dietro a tutte le uscite mondiali (soprattutto quelle di nicchia) è cosa ardua per gente riservata e solitaria come me, così, in ritardo come al solito, mi son rimesso a scrivere letterine a Babbo Natale, chiedendo di regalarmi un disco/artista che mi permettesse di passare altre nottate serene, prive di sussulti condominiali e ospiti mentali inferociti. Uh, cavolo! Babbo Natale esiste, ed è pure di animo buono. Devo ricredermi, avevo chiesto un disco ed invece ha portato due squisite donzelle italiane: Alessandra Zerbinati aka LaMetàFisica e Caterina Barbieri.
Ecco, quindi, un altro buon motivo per ricordare al meglio l’anno appena passato. Caterina Barbieri comincia l’avventura con lo pseudonimo Odisseo Undular: progetto sonoro che estende e avvicina i confini fra il drone e la techno attraverso sistemi multicanale (parole sue). Confinarla solamente al minimalismo e al drone però è quantomeno riduttivo, poiché, come avrete modo di ascoltare e leggere, la ragazza dimostra smisurato talento ed enorme versatilità. Il debutto, infatti, arriva con l’album Vertical attraverso Cassauna (l’etichetta “di riserva” della più rinomata Important Records), che può comunque vantarsi di avere nel proprio catalogo artisti di tutto rispetto come Conrad Schnitzler, Maurizio Bianchi, Aki Onda e Pietro Riparbelli.
Usando terminologie care alla musica classica, possiamo scrivere che Vertical è un’opera formata da cinque atti, per solo voce e sintetizzatore Buchla. Dall’alto della mia ignoranza, l’audiocassetta mi sembra registrata in modo ottimale, e le frequenze emesse sono limpide e cristalline, in barba a chi continua a sottovalutare la qualità audio del nastro magnetico. Apre lo spartito “Undular” con il proprio minimalismo perforante, che sfocia e sprofonda in una sorta di techno sperimentale. Regolate come si deve il volume, perché vi aspettano minuti di ansia e panico: gocce cinesi, pulsanti, aggrediscono le pareti esterne del cuore, insinuandosi, come fossero dei streptococchi impazziti, e modificando a loro piacimento i circuiti elettrici che ne regolano le frequenze cardiache (se fossimo negli anni Ottanta avremmo esclamato pump up the volume). “Traum”, che è la traccia finale, si fa notare per quel suo apparire artica e fiabesca. Lo spelling dell’alfabeto, associato alla fredda elettronica del sintetizzatore, mi ha fatto immaginare la sirenetta di Copenaghen che, stanca della sua immobilità e frustrata dai numerosi atti vandalici, decide di animarsi pronunciando minacciose lettere in sequenza: fate attenzione, alta tossicità in arrivo. In mezzo, una carrellata invasiva di monotonia (inteso come non sgradevole ma singolo tono modulato ad hoc), dove interagiscono microimpulsi stetoscopici, laser ultravioletti, vivisezione cerebrale (“Perspectiva”) e sospiri affannosi che aleggiano e sovrastano inquietanti deserti drone (vedi “Pneuma”, che poi è anche la mia traccia preferita). Il nastro purtroppo è già esaurito da tempo, io sono stato fortunato a trovarne uno, ma se vi sbrigate beccate ancora qualche copia in Giappone. Forse erano pochine, queste copie. Che ne dite, facciamo una class action verso la Cassauna, chiedendo di ristampare una seconda edizione? Comunque, che serva da lezione per la prossima uscita, altro che cazzeggiare sui social-network tutto il giorno…
Subito dopo, nello split-tape uscito per la svedese Oma333, Caterina cambia registro e si alterna con Kali Malone alias Medicine Bow, giovanissima musicista americana con base anche a Stoccolma, e componente del collettivo audiovisivo, tutto strambo, malato e femminile, delle Hästköttskandalen (assolutamente da seguire, credetemi sulla parola). In quest’occasione Barbieri si stacca momentaneamente dalle gelide manopole del Buchla, nascondendosi dietro lo pseudonimo Morbida. Le due artiste sono quasi simili come approccio sonoro (forse Medicine Bow è leggermente più acida, suonata e disperata), tanto che si fa fatica a distinguerle, il che è buona cosa per uno split, infatti c’è totale continuità. Dal sito ufficiale leggiamo che Morbida è l’interazione fra delicate melodie scolpite su drone marmorei e utopistiche architetture di luci e ombre, derivanti da una voce soffice ed eterea. Sarò banale, ma verrebbe da dire: un nome, un programma, visto e sentito che le note sono dolciastre e abrasive come lo zucchero semolato e candide e accattivanti come la panna montata. In più, perché anche l’occhio suggerisce e vuole la sua parte, l’audiocassetta è confezionata in modo ottimale, sia quanto a colori scelti per la cover sia per l’immagine di presentazione, malinconica e retrò. Tutti piccoli e scrupolosi dettagli che conferiscono quell’intensa sensazione di fading (come dicono i britannici) e pelle d’oca. È però la voce che amplifica l’effetto dissolvenza, aggiungendo quel fascino tipico delle cartoline antiche e sbiadite. Però, proprio perché non vuol saperne di uscire, riesco ad associare questo lavoro soltanto e sempre con il videoclip della canzone “Candyboy” di Weyes Blood. Vediamo se ci ho preso? Lo so, musicalmente in apparenza non sembrano simili, ma provate a togliere le piccole onde del mare e sostituitele con dei rumori grattugiati provenienti dallo sfregamento di rotoli di cartavetro, inserite qualche seducente canto di sirene, lasciate inalterato lo sfondo, anzi, no, fatelo leggermente più violaceo, ed ecco ottenute le tre tinte “violet” (Sand, Hour e Blur) che servono per affrescare le anonime e tristi pareti di casa. Che dite, ho azzeccato, oppure i miei ospiti fantasticano come al solito?
Vi assicuro che ho fatto molta fatica a decidere quale dimensione parallela ultrasensoriale di Caterina Barbieri fosse più gradita. Vertical è stato spiazzante, ma la versione morbida e le lacrimevoli odissee acusmatiche (Lachrymae Odyssey) piacciono di più, anche perché, laddove c’è tristezza e disperazione, mi troverete sempre. Comunque, speriamo di risentirla a breve, qualunque sia la sonorità da lei scelta. Nel frattempo, proprio perché le buone idee bisogna portarle alla luce del sole, assieme al visual-performer Giovanni Brunetto collabora ad un interessante progetto audiovisivo dal nome UHV (Ultra High Vacuum): vitreo ed elettromagnetico sottofondo drone che si sovrappone e interagisce con la proiezione di diapositive a colori e sequenze d’immagini d’archivio in bianco e nero che raccontano frammenti di un’epoca. Ma non è tutto, infatti sta per uscire per la famosa etichetta Trovarobato il debutto dei Sex With Giallone (interessante gruppo bolognese nato sui banchi del liceo, che mescola goliardia fricchettona e sonorità dagli effetti psicotropi), che vede la nostra Caterina sotto forma di sensualissima, ammaliante e diabolica musa… ma questa è un’altra storia.
Discografia:
CATERINA BARBIERI – Vertical [Important Records, Cassauna, 2014] MORBIDA/MEDICINE BOW – Split [Oma333, 2014] SEX WITH GIALLONE – We Had A Room At Tropicana Motel [Trovarobato, 2015]