CAROLINE K, Now Wait For Last Year
Per chi vi scrive, è (quasi) un obbligo tentare di far riscoprire, a quei pochi che ancora non la conoscono, l’artista inglese Caroline K. Nel 1980, a Londra, assieme al grande Nigel Ayers, fonda i Nocturnal Emissions, una tra le band industrial (termine in verità troppo riduttivo) più influenti degli anni Ottanta. Partecipa al progetto fino agli inizi degli anni Novanta, dopodiché decide di cambiare aria trasferendosi in Italia. Artisticamente lascia un solo album solista dal titolo Now Wait For Last Year, uscito nel 1987 e ispirato dal racconto di Philip K. Dick. Caroline Kaye Walters muore di leucemia a Pisa nel 2008, all’età di 50 anni.
La viennese Klanggalerie apre la propria stagione 2015 ristampando per la seconda volta questo disco, mantenendo sempre la copertina originale, che – a vederla oggi – con quello sfondo marmoreo e la piccola fotografia da giovane al centro, suona come fosse un presagio di morte. Nonostante le nascoste smerigliature industrial, le asperità drone, le mareggiate minimal-synth e le frustate percussive che fuoriescono dalle venature del marmo come fossero espulsioni atomiche di globuli rossi (Animallattice), l’album si manifesta in tutta la sua magnificenza ed eleganza ambient attraverso soundscape delicati ed evocativi, allucinatori e dalle sfumature esoteriche, gloriosi e a tratti marziali (“Chearth”), ma con quel retrogusto sempre amarognolo che trasmette infinita tristezza, quasi come leggere gli epitaffi sulle pietre tombali dei cimiteri per animali. È vero, probabilmente troverei da lacrimare (nella migliore ipotesi occhi lucidi) anche solo vedendo un ramo secco e morto in mezzo a un verde e rigoglioso fogliame. Sta di fatto che nei venti minuti di “The Happening World” ripercorri a ritroso l’infanzia e in un solo istante rivivi quei pochi momenti in cui hai dovuto impulsivamente decidere quale sentiero seguire. La nascita e la morte come fossero due sponde collegate da una corda di violino spigolosa e scivolosa, in bilico su un profondo e oscuro abisso oceanico, mentre presenze ectoplasmatiche tentano di trascinarti nel girone dei sempiterni malinconici. Tempo fa, uno che si faceva chiamare Beethoven pare abbia musicato l’Inno alla Gioia in base ad alcuni testi poetici di un certo Friedrich Schiller. Non so, forse esagero, forse no, ma attraverso l’ispirazione di racconti fantascientifici, Caroline K ci ha lasciato il proprio inno alla disperazione.
Fossi in voi cercherei di correre all’acquisto immediatamente, anche perché la prima ristampa del 2010 andò esaurita quasi subito. Unica nota stonata (ma è davvero poca cosa) sono le tre tracce inedite aggiuntive, assolutamente fuori contesto, anche come sonorità: se nasce in un modo, non c’è motivo di farlo rinascere in un altro.