Carmelo Coglitore: lo chef delle ance
Carmelo Coglitore: saxofonista, clarinettista, didatta, compositore e conductor.
Musicista creativo e poliedrico, si pone come obiettivo l’interazione con qualsiasi forma d’arte, tentando di instaurare un rapporto empatico con il pubblico presente ai suoi concerti.
Ciao Carmelo, come hai vissuto questa fase di lockdown in una provincia fortemente vessata dal COVID-19 quale quella di Brescia?
Carmelo Coglitore: Chiunque abbia vissuto il lockdown nella Zona Rossa non credo che dimenticherà facilmente questa esperienza. Ho percepito un profondo senso di impotenza, generato, paradossalmente, proprio da un sistema sanitario così “evoluto” come quello lombardo. Ammalarsi di COVID-19 significava rimanere confinati in quarantena dentro casa, lasciati a se stessi, così come è successo per molta gente poi deceduta in casa propria.
Il lockdown ha coinciso con un momento molto delicato della mia vita e quindi ha amplificato il suo significato di cambiamento, di svolta. La musica mi ha tenuto compagnia e credo che anch’io sia riuscito a dare conforto a chi ascoltava le mie dirette e i video montati insieme ad altri musicisti.
Il virus mi ha insegnato il profondo significato di un abbraccio.
Il tuo rapporto con lo strumento – forse sarebbe meglio dire “gli strumenti”, data la vasta gamma di ance che suoni – è cambiato? Hai avuto modo di esplorare altri ambiti sonori in questa fase?
Suono i clarinetti e i saxofoni. Durante il lockdown ho suonato/studiato un po’ di più, approfondendo l’aspetto del suono che guarisce e nutre l’anima. Sono un docente di strumento musicale e in questo periodo ho tenuto lezioni e anche concerti on line, quindi mi sono adattato ad una nuova modalità di interazione con il pubblico e gli studenti. Ricordo una lezione/concerto con il liceo musicale Turrisi Colonna di Catania: raccontavo della capacità del jazzista di interagire con qualsiasi cosa esistesse attorno a lui e ad un tratto, era mezzogiorno, le campane cominciarono a suonare e io iniziai ad improvvisare sui rintocchi.
Qual è stato il tuo ultimo lavoro discografico?
Vorrei fare riferimento ai miei ultimi due lavori discografici: Instant Groove, inciso con Francesco Cusa alla batteria, Giacomo Tantillo alla tromba e Pino Defino al contrabbasso. Un progetto assolutamente improvvisato, dove per improvvisazione intendo composizione in tempo reale. Le tracce sembrano avere una “struttura”, all’interno delle quale si improvvisa ulteriormente. Potrei definire Instant Groove, riascoltandolo, un disco di improvvisazione all’ennesima potenza.
L’aspetto più “jazz” a mio avviso è stato che i musicisti non avevano assolutamente idea di cosa sarebbe successo durante la seduta di registrazione. È davvero un bel viaggio, ascoltatelo.
Original Riffs And Double Memories, in cui suonano Lorenzo Vitolo al pianoforte, Lucio Miele alla batteria, Gabriele Pagliano al contrabbasso, Fabio Chillemi al corno e Antonino Cicero al fagotto, è una raccolta di mie vecchie e nuove composizioni, tranne una, “The Unknown Unknown”, dell’ispirato Gabriele Pagliano. Il brano intitolato “Ballad” prende spunto dal mio metodo sull’improvvisazione “Instant Musique”, dedicato ai musicisti di estrazione classica.
L’organico è interessante e stimolante dal punto di vista timbrico e per gli effetti che si creano grazie all’impasto e al colore degli strumenti.
Faccio la stessa domanda che ho fatto nella precedente intervista a Luciano Troja: ti senti jazzista?
Se mi sento jazzista? Sono un musicista a cui piace interagire e condividere emozioni attraverso il linguaggio dei suoni. Cerco di studiare e approfondire gli standard Jazz, più che altro per cultura personale.
Ecco, mi definirei musicista creativo più che jazzista.
Insieme, fra le tante cose che condividiamo, esploriamo il territorio della conduction. Vedo che hai applicato questa metodologia anche nella didattica con le scuole. Ce ne vuoi parlare?
Utilizzo il linguaggio della conduction con i miei studenti e ottengo dei risultati sonori molto interessanti. Loro suonano ciò che sanno, ognuno con il proprio background ed io lo arrangio in tempo reale attraverso la conduction.
Contaminare semplici melodie fino ad arrivare a creare delle incursioni ritmiche su Debussy con un’orchestra di ragazzi di scuola media è davvero una bella soddisfazione. Spero di poter continuare a settembre alla riapertura dell’anno scolastico.
Quanto ti manca il mare di Furci Siculo e in che misura questa distanza influisce e orienta il tuo modo di suonare e di comporre?
Mi sono trasferito a Brescia per ricongiungermi con la mia famiglia. Non avrei mai pensato di vivere qui.
Porto nel mio cuore e nella mia mente il mio mare, il mio sole e la mia terra. La nostalgia crea nuovi spunti compositivi, non c’è dubbio. E il senso di solitudine, che provo ogni tanto, purtroppo non mi aiuta.
Io sono una persona a cui piace condividere le proprie emozioni, sono una persona aperta che ama abbracciare il mondo, proprio come mia figlia, che è la mia “composizione” più bella.
Fra qualche giorno tornerò nel mio amato Sud, per riabbracciare i miei genitori e i miei amici e recuperare un po’ di energie, dopo questi mesi molto difficili.
Parlaci dei tuoi ultimi ascolti e di come vedi la situazione musicale in Italia. Ritieni che stia mutando radicalmente lo scenario e che molte cose cambieranno nella politica organizzativa dei concerti in Italia nel prossimo futuro? In che misura questa impossibilità di esibirsi per gli artisti, destinata a durare ancora molti mesi, pensi possa incidere sullo stravolgimento degli equilibri del mercato del jazz italiano?
Questa parentesi pandemica ha scoperchiato, portato alla luce tante criticità in diversi settori produttivi.
Il covid-19 ha portato una ventata di aria nuova, suggerendo all’essere umano che la natura può continuare ad esistere e anche meglio senza di lui. Certamente non è un buon momento per chi vive solo di musica e che si vede costretto a trovarsi improvvisamente un’altra fonte di reddito.
Detto ciò credo e spero che a breve si potrà tornare ad esibirsi dal vivo, visti gli assembramenti a scopi elettorali che ci sono stati alcuni giorni fa, e non lo dico con sarcasmo ma con viva speranza.
Concludiamo con la solita mia domanda finale: una tua definizione di “protezionismo” e “tutela” applicata all’arte.
Oggi più che mai il nostro paese ha bisogno di tutelare e quindi proteggere ciò che viene prodotto ed ideato in Italia.
Questo riguarda davvero tutti i settori produttivi, compresi quelli creativi.
Gli italiani devono comprendere che quella del musicista o dell’artista in generale può diventare una professione, un’attività degna di rispetto e di attenzione da parte di un governo che forse non ha ben compreso quanto l’arte sia stata fondamentale nel tenere alto il morale degli italiani chiusi in casa durante i mesi del lockdown.