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CARIBOU + FLOATING POINTS, 6/9/2014

Caribou

Bologna, Estragon. Le foto sono di Flavio Michele Pinna, per questo ringraziamo lui, Fine Fame e l’Estragon.Non avevo idea che al Parco Nord ci fosse la Festa dell’Unità in questi giorni, e la marea di gente che mi si profila davanti non appena scendo dalla bici mi sorprende. Insieme al mio amico Renzo ci mettiamo il cuore in pace e cominciamo l’infinita rotta verso l’Estragon, pensando che probabilmente esista un’altra entrata più vicina alla nostra. Quando arriviamo all’ingresso, verso le undici, decidiamo di andare subito dentro, nonostante ci sia stato detto che una volta varcata la soglia non si potrà più uscire fino a fine concerto.

Caribou

Il posto è ancora vuoto, a farlo riempire ci penserà Marco UNZIP, con un dj-set accogliente e studiato per non esagerare coi bassi, ma per preparare la pista da ballo in attesa di Caribou. Un’attesa lunga, nonostante sul palco siano già predisposti i vistosi strumenti con i quali il gruppo di Dan Snaith colorerà il padiglione. La band arriva verso mezzanotte e mezza in tenuta kraftwerkiana, un minimalismo adatto a evidenziare il suo spettacolo di luci, forse le vere protagoniste della serata. Uno spettacolo preannunciato dalla copertina del nuovo Our Love (dal quale verranno tratti più pezzi), ennesima conferma di un suono sempre più liquefatto ed etereo. È importante dire che Caribou è stato in grado di unire – soprattutto grazie all’album Swim – le culture del clubbing e dell’indie pop prediligendo la dance hall a venue da concerto, soprattutto perché questa sera la fusione è evidente: il pubblico eterogeneo spazia da hipster in divisa a clubber da manicomio, un mix di culture che infine riescono a evocare una situazione adatta e amichevole nella quale ballare fino a tarda notte (motivo per cui quasi tutti sono qui). Dal punto di vista musicale il canadese riesce a sgretolare i suoi pezzi elettronici per riprodurli con strumenti, anche se c’è da dire che basso, batteria, chitarra e voce sono affiancate comunque da parti elettroniche che aiutano a digerire un sound altrimenti fin troppo acustico. La band sul palco, pur se non del tutto autentica, è in ogni caso di sicuro meglio che un set pre-registrato. Ogni pezzo vanta una sua personale coreografia luminosa, davvero ben studiata, e soprattutto durante la nuova “Can’t Do Without You” il fermento raggiunge livelli straordinari, con effetti visivi che ricordano i più freddi gruppi post-rock. Il liquido sonoro filtra fra le persone schiacciate e le fa ballare per un’ora e mezza e, quando è tempo di lasciare il palco a Sam Shepherd (aka Floating Points), il pubblico ha ancora voglia di muoversi.

Caribou

Shepherd purtroppo sembra stanco e non particolarmente partecipe, o meglio più va avanti il dj-set (si suonano solo 7” e 12”), più Floating Points vuole esaltare a tutti i costi, ma l’insieme ne soffre e s’iniziano a sentire dei mix un po’ maldestri. Inoltre il tutto è giocato sullo strangolamento delle tracce dance scelte, liberate quando i bassi sono abbastanza saturi per aumentare quella sensazione di “dropping” di cui si sta ubriacando la musica commerciale. In linea generale penso che stasera abbia vinto lo spettacolo più che la musica: Caribou ha dimostrato di saper proporre quello che fa su disco, accontentando un pubblico sempre più vasto.