CAPIUZ, Newfound Intimacy
Ho scoperto Capiuz grazie al video di “Feeding Live Food“, e l’album non tradisce le aspettative. L’ascolto delle otto tracce va comunque a disegnare un ritratto giocoforza limitato del musicista, attivo dal 2020 e già autore di una manciata abbondante di lavori in digitale che compongono al momento il suo universo. Rimanendo fra le pareti e i nastri di Newfound Intimacy si viene compressi in un gioco ritmico condito con stimolazioni in qualche modo pastorali, colori velati a disegnare paesaggi naturalistici, un po’ come se i vettori e gli algoritmi ricreassero soggetti bucolici e alpestri in maniera “quasi” perfetta. Poi però succede altro, la mano si appesantisce e in “Found A Bucket In The Forest” qualcosa sembra sgretolare l’ecosistema, aggiungendo drammaticità e incombenza. Questo fattore pare letteralmente liberare una sorta di anima, un risuonare di tasti che si fa tutt’uno con il paesaggio, mirando all’orizzonte e alla sua bellezza.
“Anemone” batte in cassa dritta, muovendosi e muovendoci come solo l’acqua è in grado di fare, movimenti ottusi e ingabbiati in una densità che ci uniforma, squillanti scale su una tastiera, il ballo come pura emozione e unione. Poi “Walking In Snow”, che sembra ricollegarsi a un clubbing con molti più legami di quelli esplicitati con un’Italia da cartolina anni Ottanta, limitandone gli eccessi, serbandone eleganza e grazia. Sembra poter andare dove vuole Capiuz, sulle cime più celesti ed eteree di “Detachment In A New Form” come alle danze soleggiate di “Bruits”, che ci spingono sempre più in pista giro dopo giro, fino al gran finale, una “Fumoir” che esplode fra ricordi trance e tribali, sferzando la natura con l’umano, o viceversa.