CANAAN, Mauro Berchi
Dei Canaan e della loro ultima, doppia, creatura abbiamo scritto molto in sede di recensione, a volte, abbiamo persino azzardato qualche conclusione o interpretazione sulla base delle sensazioni che un album così particolare ci aveva suscitato. Era, quindi, auspicabile interfacciarsi con loro per verificare la fondatezza delle nostre deduzioni e scoprire quali altri aspetti e sfaccettature si celassero all’interno della nuova sfida ai propri limiti affrontata dalla formazione. Quello che segue è il risultato di una chiacchierata via mail con il sempre disponibile Mauro Berchi.
Partiamo con il cambiamento più evidente, cioè dall’inserimento di una cantante. Come avete incontrato Arianna e come è nata l’dea di utilizzare le voci in modo così particolare?
Mauro Berchi: Avevamo già collaborato con lei più di dieci anni fa, aveva cantato su alcuni brani di Capitale De La douleur dei Weltschmerz. Qualche mese fa abbiamo preso in prestito la sua preziosa voce in occasione della cover di “Houses Of Cards” degli Zeromancer e, visto il risultato molto soddisfacente, abbiamo deciso di coinvolgerla anche nel nuovo disco. Detto questo, tengo a precisare che personalmente sopporto poco e male le voci femminili; nel caso di Arianna, proprio tenendo a mente questa mia idiosincrasia, abbiamo cercato di utilizzare soluzioni “alternative” al tema “voce femminile”, sia in fase di arrangiamento delle linee vocali che in fase di effetti e mix. Il risultato mi soddisfa a pieno. C’è anche da dire che lei, essendo in pratica una semi-professionista, non ha avuto alcuna difficoltà ad inserirsi nel tessuto dei brani del disco con una prospettiva diversa da quella a cui è abituata di solito. E la cosa ci ha permesso fin da subito di sfruttare il tempo in modo produttivo e “creativo” anziché sprecare energie per incastrare pezzi rotondi in buchi quadrati…
In realtà, di cose speciali nel nuovo lavoro ce ne sono parecchie altre, a partire dal concept basato su un confronto con i propri demoni e la decisione di affidare ogni brano a un personaggio differente. Un tema decisamente forte e un procedimento complesso con cui svilupparlo. Ti va di parlarcene?
Il mondo dipinto nel disco è un universo “scomodo” popolato di personae pericolose. Il concetto generale del disco, a diversi livelli e con differenti chiavi di lettura, è quello della prigionia, sia essa fisica, mentale o entrambe. Ogni brano del primo cd è dedicato ad uno di questi personaggi, che da “oppressore”, con parte attiva nel primo disco, si trasforma in prigioniero nel corrispondente brano del secondo cd. I parallelismi sono a volte espliciti a volte nascosti, ma ci sono sempre, anche a livello puramente musicale. Il “concept” è nato mentre stavamo registrando le tracce vocali. Abbiamo visto che i testi che avevamo scritto (ha contribuito anche Arianna) si prestavano bene alla creazione di un filo conduttore unico. E le linee melodiche dei brani “canonici” potevano essere rielaborate in modo particolare nei brani ambientali. Abbiamo quindi deciso di tenere separate le due anime del disco. Entrambe però sono accomunate da un senso di sgomento e paura di fronte all’idea di non poter scappare da prigioni auto-costruite, subite oppure imposte da terzi. Ci si muove liberamente, ma si è comunque sempre in gabbia… Consapevoli o meno della cosa, non cambia molto…
Alla complessità del concept corrisponde anche un lavoro grafico altrettanto ricco, a mio parere un vero e proprio elemento fondamentale per comprendere il lavoro e apprezzarne ogni dettaglio, vista anche la ricchezza del booklet. Come sono nate queste immagini e che tipo di relazione si è instaurata tra la parte in note e quella visiva dell’album?
Ho lavorato all’artwork durante alcune notti insonni mentre stavamo mixando il disco. Ho avuto anche un notevole aiuto da Emanuele Tubertosi (Mabon Creative) che mi ha fornito delle eccellenti tavole ad aerografo per “Mind Eraser”, “Lighthouse Keeper” e “Pain Sentinel”, oltre ad aver rielaborato le nostre foto per il booklet. Abbiamo cercato di creare una tavola per ogni personaggio del disco, cercando di rendere l’atmosfera del brano corrispondente. Il packaging invece segue il filo conduttore dell’album, partendo dalla copertina (un personaggio con ruolo attivo nell’opprimere) all’ala interna, nella quale il personaggio diventa prigioniero della paura, fino alla terza ed ultima parte (la copertina del booklet) che esemplifica il termine della partita, persa – ovviamente – in modo ignominioso. Di tutte le tavole del booklet abbiamo stampato anche dei quadri su tela che sono semplicemente eccezionali.
Parliamo del secondo cd strumentale, con schegge dei brani utilizzate come materia grezza per sviluppare nuovi percorsi e nuovi viaggi sonori. Quindi, non più intermezzi o momenti a sé, ma un’immagine riflessa e distorta, quasi un universo parallelo come succedeva nelle saghe Marvel, in cui però i protagonisti si ritrovano questa volta prigionieri. Anche qui siamo di fronte ad una nuova sfida che dà un valore speciale a Of Prisoners, Wandering Souls And Cruel Fears…
Assolutamente sì. I brani sperimentali sono di importanza fondamentale per entrare a fondo nel mondo Canaan. Mi stupisce quanti ancora non lo abbiano capito. Per loro, abbiamo scelto apposta di dividere i due dischi in modo netto. Così chi non sopporta la componente ambientale e continua a pensare “ma che cazzo sono ‘sti rumori senza senso?” può dedicarsi in tranquillità all’altro disco. Senza rompersi troppo le scatole con “suonini” che in realtà richiedono una notevole partecipazione emotiva e uno sforzo supplementare per essere assimilati perché molto meno diretti dei brani “rock” (ahem).
Preferisci descrivere i due cd come le differenti prospettive da cui guardare una stessa immagine/scena o, piuttosto, come due differenti scene divise sia nello spazio che nel tempo dell’azione ma con gli stessi protagonisti? Hai pensato all’idea di far suonare i due dischi in contemporanea come succedeva con gli album dei Neurosis e dei Tribes Of Neurot?
Non ho mai preso in considerazione questa possibilità, che in effetti sarebbe interessante. Per quanto riguarda la prospettiva, credo che la seconda opzione sia calzante: stessi protagonisti, stesso spazio, ma tempi differenti. A livello di pura curiosità, personalmente finisco per ascoltare sempre soltanto il secondo disco, al quale sono particolarmente legato non so bene per quale motivo. Lo sento più “vicino” in qualche modo e ne ricavo sensazioni molto contrastanti e spiazzanti, cosa che ovviamente reputo molto positiva.
Torniamo al primo disco, al taglio della scrittura e al tipo di atmosfere che si respirano lungo i brani, In sede di recensione ho parlato di un album dai toni doom, ma non nella tipica accezione metal, piuttosto di un ibrido che ho tentato di definire come doom-wave, anche se questi termini lasciamo il tempo che trovano. Chiedo il tuo aiuto per cercare di far passare attraverso le parole l’essenza del disco.
I due dischi sono molto “velenosi”, questo è il primo aggettivo che mi viene in mente per descrivere l’atmosfera generale. Opprimente, malsana, mefitica, come una palude nella quale l’aria viene lentamente a mancare. Permane costante la sensazione di ineluttabilità di un fato che difficilmente sarà benevolo. Minacce incombenti da tutti i lati, un accerchiamento costante di entità malevole e maldisposte. Non mi dispiace per nulla il termine da te coniato. Il concetto di “Doom” inteso come fato funesto si addice molto bene a Of Prisoners, Wandering Souls And Cruel Fears.
Di sicuro, è praticamente impossibile fare paragoni con altri lavori dei Canaan, perché – pur se in fondo siete sempre riusciti a cambiare rotta senza perdere un vostro tratto unico e distintivo – questa volta lo stacco appare ancora più netto e radicale. Da cosa nasce questa continua ricerca di nuovi orizzonti da esplorare e quanto è difficile farla convivere con la vostra identità senza che si creino fratture o strappi?
Concordo. Pur rimanendo un disco “Canaan” senza ombra di dubbio, Of prisoners… è un capitolo a sé stante nella nostra discografia. A dire il vero – come sempre – non abbiamo pianificato nulla. Abbiamo semplicemente cominciato a suonare e siamo rimasti a guardare quello che succedeva. Non ricerchiamo mai la “novità a tutti i costi” né pianifichiamo a tavolino una direzione piuttosto che un’altra. In questo caso i brani sono usciti più grezzi e ruvidi, molto “doom” nell’anima prima ancora che nella forma. Abbiamo assecondato questa naturale “e/in”-voluzione senza forzarci la mano. Un po’ come era successo per l’uso dell’italiano in “contro.luce”, questo nuovo disco è uscito spontaneamente in questa direzione “rétro” che alla fine mi soddisfa a pieno. Ci sono naturalmente alcune cose che avremmo potuto rifinire ancora meglio, ma è un piccolo dettaglio che non mi infastidisce più di tanto. Anche perché il processo di mixaggio di un brano cristallizza una sola tra le mille possibili varianti, e a volte essa è molto differente da quanto ci si sarebbe attesi. Questa è una delle cose che ancora e sempre mi infastidiscono. Di fronte però al risultato ottenuto considerato nella sua interezza, rimango sorpreso e meravigliato di quanto abbiamo conseguito con questo nuovo disco e l’auto-critica viene accantonata.
A riguardare tutte le cose che abbiamo detto e tutti gli aspetti che abbiamo toccato, viene da pensare a Of Prisoners, Wandering Souls And Cruel Fears come uno dei momenti salienti e degli apici dell’avventura Canaan. Che sensazioni si provano dopo aver messo così tanto di sé in un album, che effetto fa averlo tra le mani e riascoltarlo a mente fredda?
Sono “orgoglione”. Sento il disco come qualcosa di molto “poderoso”, in grado si scuotermi dall’apatia che mi contraddistingue. Qualcosa di “alieno” che mi trasporta di prepotenza in un mondo nemico, pericoloso, che sento a me estraneo. Mi meraviglio – davvero – di alcuni passaggi del disco, e mi commuovo come un deficiente durante molti brani (soprattutto quelli del cd “ambientale”). Sarà una cosa retorica, che ripeto ad ogni disco nuovo, ma questo è – per ora – l’apice di quanto abbiamo fatto come Canaan nel corso degli anni. Spero che saremo in grado di superarci in futuro. Rimane da vedere come possiamo fare qualcosa di migliore di questo disco.
Ora dovrete cercare un nuovo terreno di gioco per testare la vostra curiosità e la voglia di spingere oltre i limiti dell’universo Canaan. Avete già qualche idea in mente o qualche curiosità che vorreste togliervi e che ancora non siete riusciti a soddisfare?
Oh sì, ho in mente parecchie idee. Visto che il mio “odio” per le voci femminili ha portato al risultato che si può sentire su Of Prisoners, Wandering Souls And Cruel Fears (molto positivo, almeno per quanto mi riguarda), è probabile che nel prossimo disco mi decida finalmente ad affrontare le altre mie due paure ataviche, vale a dire chitarre acustiche e pianoforte. Stiamo verificando la fattibilità tecnica di andare a suonare sulle panchine al parco di sera tardi, come i vecchietti che in effetti siamo, con un pc per registrare, due chitarre acustiche e delle percussioni. Penso verranno fuori cose molto interessanti, se effettivamente decideremo di seguire questa strada per la composizione dei prossimi brani. Sto poi brigando per comporre qualche traccia usando come base di partenza il pianoforte, strumento che strimpello un po’ a casaccio da tempo ma che generalmente mi disgusta… Prima di vedere dove i nuovi brani andranno a parare, ci dedicheremo però ad un progetto che abbiamo in stand-by da anni, vale a dire un doppio 45 giri con 4 cover: Talk Talk, Ultravox, De André e Chameleons. Staremo a vedere.
Al solito non posso che ringraziarti per il tempo e la pazienza con cui ti sei sottoposto al mio interrogatorio. Ti lascio le conclusioni e la possibilità di sopperire ad eventuali lacune delle mie domande…
Figurati, sono io che ringrazio voi per lo spazio che ci dedicate e per l’attenzione che avete riposto verso la nostra musica. NOTHING : NEVER : NOWHERE