CANAAN, Images From A Broken Self
Dei Canaan abbiamo parlato spesso, per quanto ce lo ha consentito il loro approccio lento e ragionato alla realizzazione di un nuovo disco, un modo di vivere il processo creativo senza lasciarsi prendere dalla fretta o dalla necessità di timbrare il cartellino ogni tot mesi. Questo ha lasciato in dote alla band una discografia non troppo copiosa (nove album), quantomeno in rapporto agli anni di attività (ventidue), con stacchi anche lunghi tra una prova in studio e l’altra. Una delle conseguenze è che i vari lavori mostrano una personalità marcata e sono diversi tra loro nelle formule espressive, così che non solo riesce difficile metterli a confronto (specie quelli che si trovano meno vicini), ma anche fuorviante indicare dei punti fissi che possano aiutare a comprendere una creatura mutevole e sui generis. Questo discorso vale in particolare per il dopo A Calling To Weakness (2002), quando in apparenza i Canaan hanno deciso di fare quasi del tutto a meno di una delle loro componenti, per la precisione quella che li aveva in qualche modo legati al pubblico doom o che ne aveva comunque favorito l’ingresso negli ascolti di molti appassionati del genere. Da The Unsaid Words (2006) a oggi abbiamo affrontato una serie di deviazioni, come l’utilizzo della lingua italiana in Contro.Luce, l’ingresso di una voce femminile a contrappuntare quella di Berchi in Of Prisoners, Wandering Souls And Cruel Fears, e la crudezza espressiva di marca industrial de Il Giorno Dei Campanelli, ancora una volta un vero e proprio balzo di lato nel contesto di una discografia già di per sé eterogenea.
Con questo Images From A Broken Self ci si tuffa in un mondo dalle forti tinte darkwave, in qualche modo di nuovo segnato da atmosfere malinconiche e tristi, ma sempre privo dell’oscurità di marca metal infiltratasi nei primi lavori, scelta che a questo punto, a meno di clamorose smentite, appare definitiva. Piuttosto si percepisce un mood dolente, quasi si fosse costruito a partire da rimpianti e ricordi ormai sfocati, come nelle note che aprono “The Dust Of Time”, una sensazione che colpisce l’ascoltatore e lo accompagna durante tutto l’ascolto senza costituire un deterrente. Non si tratta di una forzatura o di un artificio, ma di qualcosa che filtra dalla scrittura e soprattutto dalla voce, un’increspatura che resta sullo sfondo e ricopre come un velo impalpabile ogni piega del disco. Per certi versi è come se questo particolare stato d’animo riportasse a casa la nave e permettesse di riassaporare sensazioni forse lasciate un po’ troppo sullo sfondo negli ultimi tempi, almeno in questa guisa e accezione, posto che i Canaan non sono di sicuro famosi per aver pubblicato dischi gioiosi o carichi di ritmi caraibici. Si nota una grande attenzione al costruire canzoni che restino impresse proprio per la capacità di comunicare emozioni e pathos, anche con la scelta dei suoni e con un tratto corale (come ovviamente possono intenderlo loro) che collega in modo bizzarro un brano come la già citata “The Dust Of Time” all’imprescindibile “Un Ultimo Patetico Addio”. Nel complesso Images From A Broken Self appare meno focalizzato su un unico aspetto/fattore e più completo, proprio perché in un certo senso riannoda i fili di una discografia complessa e lo fa sia dal punto di vista strumentale/compositivo, sia strizzando l’occhio al passato a livello di atmosfere.
Inutile parlare di indizi coi quali intuire un possibile futuro, visto che i Canaan potrebbero mischiare di nuovo tutte le carte e spingersi in direzioni ancora una volta differenti e inaspettate, ma la curiosità questa volta è stata stuzzicata nel modo giusto. Vedremo.