CADAVER EYES, Road Extends

Adesso io non dico che uno debba per forza conoscere i due Cadaver Eyes (Israele), però se anni fa giravate da queste parti, vi ricorderete del batterista David Opp o della sua Heart & Crossbone, oltre che di Eran Sachs (Zax), che ho persino visto dal vivo mille anni fa a Ferrara, durante una serata stranissima in cui l’unico strumento protagonista era il “no-input mixer”, utilizzato sia da lui, sia dal più “famoso” Toshimaru Nakamura. Ricordo persino di aver lanciato il full album stream dei Lietterschpich – cosanguinei dei Cadaver Eyes – quando ancora i blog potevano funzionare da cassa di risonanza per l’underground.

Nel caso qualcuno non se ne fosse accorto, se quest’anno The Bug e The Body hanno rubato ancora la scena agli altri, è per il mix di dub e pesantezza che propongono. Per questo forse è il momento, dopo una vita che sono in giro, di ascoltare anche i Cadaver Eyes e – attenzione – il loro sound molto, ma molto più macilento e scassato di quello di Kevin Martin e di Chip King/Lee Buford, che alla fin fine sono tutti dei massimalisti, mentre qui è come se si cercasse di proporre una varietà di stili più o meno estremi, tutti ridotti all’essenza, come a cercare il loro comune denominatore. Ecco, se devo tornare un’ultima volta sui The Body, la trasversalità rispetto ai generi è la stessa. Lo schema, in ogni caso, è abbastanza semplice: la guida dei pezzi è la batteria secca del cerimoniere Opp, molto più della sua voce ieratica e scorticata, intorno c’è Zax col suo no-input mixer, con cui a volte gioca a fare il synth, più o meno atmosferico, a volte sembra voler fare più il sostituto della chitarra o del basso se i Cadaver Eyes fossero un gruppo noise-rock convenzionale, cosa che non sono, perché in più vengono in mente i Khanate. Lo dice Opp alla fine del disco: la strada prosegue, uno deve andare avanti, anche se avrebbe potuto ripetersi.