C2CMLN, 8-9/4/2016
Milano, BUKA Striptease – Santeria Social Club. Le foto sono di Ugo Dalla Porta, che ringraziamo.
Dopo le “vacanze italiane” a Torino, Club2Club torna a Milano per una tre giorni concomitante con il MiArt, proponendo come sempre un ventaglio di artisti che catturano i curiosi come gli appassionati, bilanciando perfettamente i pesi e sapendo proporsi a un amplissima fetta di pubblico. Le tre location scelte, per il loro calendario di eventi e la loro fisionomia architettonica, rappresentano infatti tre modalità di nightlife e di ricerca differenti ma allo stesso modo necessarie in una città completa nella proposta musicale come Milano.
Siamo presenti a partire dall’evento di venerdì, curato da Arca, ventiseienne producer venezuelano, attesissimo anche perché è la sua prima comparsa in Italia, che propone un ventaglio di artisti quasi tutti sotto i trenta, freschi di uscite e nuove collaborazioni. La venue dello Striptease, luogo dalla storia complessa, peculiare nella contraddizione tra il dancefloor e il ballatoio per i fumatori da un lato e le scenografie trash all’italiana e i pali da pole dance dall’altro, sembra calzare a pennello sulla sua figura.
Dean Blunt apre la serata con il nuovo progetto Babyfather e il primo ep Meditation, co-prodotto da Arca stesso. Un inizio di serata interessante che scalda gli animi con testi hip hop decisi e lunghi momenti di dub strumentale, o di silenzio. Blunt si sposta sul palco senza pace in quello che a voce sembra un colloquio diretto con il pubblico, che però resta isolato, investito da luci e fumo ad osservare la scena. Lo affiancano uno o due bodyguard in questa battle, che alla fine è contro se stesso. Dean Blunt vs Babyfather, un ottimo warm up.
Mica Levi negli ultimi due anni ha fatto una colonna sonora da paura e un nuovo album pop sperimentale con la sua band Micachu & The Shapes. Il dj set che propone alla Buka si avvicina in modo pericoloso ad “Under The Skin” nei toni cupi e metallici, riprendendo atmosfere buie e liquide, senza tuttavia abbandonare il gioco con delle pedine più chiare. L’arrancare incessante della soundtrack si mescola a basi decise, smussando gli spigoli ferrosi senza perdere incisività e contatto. Un’inquietudine di fondo resta comunque palpabile (nonostante sia intrecciata a texture più morbide e interpretabili) durante tutto il set, che diventa improvvisamente uno spazio più vulnerabile dove esprimersi col corpo.
Quello di Arca, come si diceva, è il momento più atteso, e il risultato di questa curiosità si trasforma in una vera e propria festa che trasporta la gente sul palco e sui pali a ballare, pogare e fare un macello, scardinando dal sistema le parole “clubbing”, “dance”, “party” e squagliandole in un tutt’uno con la sua musica, annullandone significati precostituiti ed esperienze pregresse. Partendo con tracce del nuovo album mixate a noise e schiamazzi da giungla, alternando con droni cupissimi e ambient per poi schizzare nuovamente sulle lisergie, segreti compositivi indecifrabili e geniali, Arca inizia a buttar fuori pezzi conosciuti. Inizialmente restano in ombra, ma diventano poco dopo colonna portante del live: si va da Regis ai Deftones, e si arriva a un finale con “Are You Gonna Go My Way” di Lenny Kravitz dove sembra di essere allo stadio. La sua presenza e il suo coinvolgimento (non solo sul palco) portano a una fusione perfetta tra i suoni percepiti, le luci che offuscano il pubblico e una sensazione di movimento perpetuo, un vortice che si fermerà dopo almeno un’ora e mezza.
Dopo tanto ballare, il live di M.E.S.H. passa leggermente in secondo piano all’inizio, ma riprende in mano le perturbazioni sperimentate con Micachu e ricattura l’attenzione dopo pochissimo tempo. Whipple si incammina deciso su vetri rotti, in una continua frammentazione di stop&go, pioggia di impulsi e frammenti di esplosioni che vagano nello spazio. Il tutto riacquista una certa fluidità, ma resta comunque inserito in un discorso dove il bombardamento di suoni, informazioni e immagini quotidiano viene espletato modo coercitivo, realizzando in sonoro un fiume di violenza e menzogne nel quale è impossibile distinguere presente e futuro. Viene concesso qualche momento di tregua, ma è solo tempo che vuole essere dedicato alla consapevolezza, dove rimbalzano stralci di negazione del passato. I ritmi rallentano in un orologio decelerato a 40 secondi al minuto come una routine televisiva assopita da spot e advertisement continuo, dove siamo ipnotizzati da voci dub femminili in sottofondo. Sembra che l’insieme abbia una vita propria e decida che direzione prendere autonomamente, ma il live termina com’è cominciato, ingranando la quarta verso il disastro.
IVVVO torna a spingere sul pedale, dopo essersi scaldato con qualche contaminazione, e i reduci in chiusura possono continuare a ballare. Da cadenze più morbide si passa a una cassa frenetica e allarmante che prosciuga le ultime energie e si intreccia a nenie lontane e malinconiche, intervallandosi con un ambient offuscato in sottofondo.
In una serata che ha raccolto tra i migliori artisti under 30 dello scenario attuale, il set di Arca ha spezzato in due quella continuità di dialogo che ci si aspettava. A posteriori non si sa se sia una scelta impattante o meno, ma sul momento non era convincente. Avremmo preferito ballare accompagnati dagli anni Duemila ancora un po’, in uno spazio costruito a pennello.
Il sabato dei sopravvissuti è al Santeria Social Club per lo showcase della Diagonal. In apertura viene presentato il documentario “The Italian New Wave” prodotto da Noisey Italia, che racconta l’esperienza del C2C di quest’anno con le parole degli stessi artisti italiani partecipanti. Se “la scena”, rapportata a qualunque genere musicale, è un insieme autoreferenziale ed esclusivo all’esterno, qualcosa che vuole raggruppare forzatamente elementi anche diversi ma che automaticamente si trovano a condividere uno spazio elitario, forse non è il termine giusto per descrivere quello che sta accadendo in Italia. Esiste un panorama molto vasto di artisti giovani, già proiettati o consolidati in contesti internazionali, che C2C racconta e propone in modo per quanto possibile esaustivo, inserendoli nella line up come figure chiave al pari di nomi meglio conosciuti dal pubblico. Un insieme eterogeneo che tocca moltissimi punti musicali, formato da elementi che non sempre si intersecano e raccolgono al loro interno influenze sempre nuove.
Dopo il warm up delicato di Grand River intervengono due dei producer coinvolti nel documentario, Bienoise e Not Waving, entrambi reduci da due dei migliori dischi italiani del 2015.
Alberto Ricca incarna mitezza e tranquillità espressive attraverso la sua musica, e lo stesso allestimento scarno del palco e delle luci risponde a questo influsso, non c’è bisogno di aggiunte superflue. Il live trascende Meanwhile, Tomorrow raccontandolo con una chiave di lettura più magnetica e concreta, restando incredibilmente umano e coinvolgente. Le sensazioni sonore sono molteplici e differenti, da campionamenti leggeri a distorsioni, da momenti di spensieratezza più leggeri a frammenti intimi e vulnerabili, ma tutte allacciate con una continuità precisa ed essenziale, mirata ma al tempo stesso spontanea. I toni sono leggermente più scuri che su disco, ma non per questo cupi, ma la cura dei dettagli e il calore restano palpabili.
Not Waving si sposta su tutt’altro pianeta. Usando le sue stesse parole, se il dancefloor oggi è un luogo fin troppo sicuro dove esprimersi grazie al lavoro di artisti più mainstream (comunque necessari all’interno di una line up), lui riesce a dissestarne il suolo e a rendere possibile una comunicazione molto più genuina e fisica, quasi violenta, tra chi suona e chi balla. Un approccio estremamente underground (con un background punk hardcore) che il pubblico accoglie alla lettera, infatti c’è del pogo. Anche Natalizia propone “Animal(s)”, ultimo album, nei suoi brani chiave, alternando brevi momenti di quiete ad esplosioni di cassa, distorsioni secche e impulsi elettrici che solcano le orecchie come trapani. Nulla sembra precostituito, le interferenze musicali sono tali che pare che tutto possa accadere.
Ci siamo persi Oscar Powell, ma abbiamo ascoltato abbastanza per essere certi di come la Diagonal, britannica, sia in grado di accogliere artisti italiani che non solo brillano per lo studio e la qualità proposti, ma sono in grado di trasmettere un messaggio che in Italia, con grande fatica, sta arrivando: la techno può andare ben oltre accezioni precostituite ed espressioni corporee, può farsi portatrice di commistioni, background adolescenziali, storie contemporanee e geografie politiche.
Stop dancing, start learning.