BUÑUEL, Mansuetude

Anche se seguo con grande passione l’underground musicale italiano (tanto da aver ideato una fanzine chiamata Isterismo che per tre anni si è dedicata solo a quello), credo siano poche le band e gli artisti a poter competere ad armi pari con il mercato internazionale. I motivi sono o possono essere molteplici: influenze vecchie e/o banali, suoni fuori dal tempo, poca voglia di mettersi in gioco. In una parola: provincialismo.

Esistono come ovvio le eccezioni e qui su The New Noise se ne parla spesso, quindi non farò nomi ma vi consiglio semplicemente di seguire queste pagine e cercare tra gli archivi.

I Buñuel fanno parte della categoria “col cazzo che siamo provinciali” e, pur essendo dei veterani, non suonano per niente vecchi. Anzi, mettono la loro esperienza e le loro competenze al servizio di un progetto enorme tanto quanto il loro frontman, che è nientepopodimeno che Eugene Robinson, figura leggendaria che ha mandato affanculo il progetto Oxbow senza tanti giri di parole e che suona nervoso come quando da ragazzino si dimenava nei Whipping Boy. Affianco a lui troviamo Xabier Iriondo, uno che è capace di cavare dalla sua chitarra qualunque cosa. Il suo curriculum dice Afterhours, le mie orecchie A Short Apnea, Uncode Duello, Six Minute War Madness e infinite collaborazioni sperimentali. E poi alla batteria c’è Frank Valente, che per il mio gusto è il miglior batterista in Italia: ha la potenza di Dale Crover dei Melvins, ma anche una notevole tecnica e inventiva oltre misura. Il basso è invece un po’ ballerino: a ‘sto giro troviamo Andrea Lombardini, che all’uscita del disco è stato sostituito da Carlo Veneziano, già presente nell’ultima formazione dei One Dimensional Man e nei pirotecnici Robox. Insomma, questi sanno quello che fanno.

Non è un caso, dunque, che il disco sia una co-produzione italoamericana: da un lato Overdrive, ormai porto sicuro per certi suoni, dall’altro la veterana Skin Graft, casa di terroristi sonori da ormai 30 anni. Ci sono quindi la tradizione e la contemporaneità, un suono che sale dalle viscere rumorose degli anni Novanta e fagocita la sua evoluzione più o meno recente. Per quanto riguarda l’ultimo punto, c’è Megan Osztrosits, l’incredibile front-woman dei Couch Slut (tra i dischi del 2024 c’è di sicuro il loro You Could Do It Tonight), colei che si apre la fronte a ogni concerto riempiendo di sangue la sua performance vocale e le prime file. Per la scuola anni Duemila c’è Jacob Bannon dei Converge. Per gli anni Novanta c’è Duane Denison dei Jesus Lizard. Questo Mansuete non è un disco, ma una lezione di noise rock.

Tanta professionalità è al servizio di un lavoro molto complicato, ricco di intuizioni ma privo di ganci melodici. Un lavoro ambizioso e urgente, contorto e spaventoso, esattamente come deve suonare se non si vuole ammiccare al pubblico ma strangolarlo lentamente. Un disco così estremo quest’anno non l’hanno fatto Jesus Lizard, Chat Pile o Human Impact, ma solo i Couch Slut. E, appunto, i Buñuel.