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BUNKER 66, Chained Down In Dirt

Dei Bunker 66 vi abbiamo già parlato in passato su queste pagine nelle recensioni dello split coi Barbarian (2012) e di quello con i Morbo dell’anno scorso. Sono un gruppo che ci è sempre piaciuto per quel black/thrash senza troppi fronzoli, una sorta di Darkthrone dell’ultimo periodo molto più motörheadiani, con voce cafona, grezza e spesso riverberata alla Lemmy/Cronos. Niente spandex e acuti a caso come molte band tedesche o scandinave, ma attitudine genuina e terrona. Il 2017 ha visto uscire il loro terzo full length, questo Chained Down In Dirt, ancora per l’inossidabile High Roller Records (che quest’anno ci ha già deliziato con due ottimi dischi doom come i nuovi Procession ed Epitaph). La formula non è cambiata granché: la sostanza è sempre la stessa, ma c’è una maggiore attenzione per le linee vocali (cosa che già si intravedeva nel precedente Screaming Rock Believers). C’è anche una maggiore componente epica nei ritornelli che emerge dai ritmi hellhammeriani, vedi l’iniziale “Satan’s Countess”, la title-track o “Her Claws Of Death”. Il songwriting è un po’ più maturo e la produzione è leggermente più curata. Se vi aspettate qualcosa di diverso, avete scelto il disco e il gruppo sbagliato: il power trio di Messina ha sete di rock’n’roll nero e cattivo, niente più e niente meno. È stato tra le Band of the Week di Fenriz e ha il classico sound che ci si aspetterebbe di trovare tra le scelte del norvegese o in festival come il Live Evil o Raging Death Date. Il punto di forza dei Bunker 66 è che, nell’essere derivativi al 100% sono sempre convincenti. I riff sono banali e già sentiti da mille altri gruppi: mentre però c’è chi questo sound lo ricerca e lo imita con scarsi risultati, a loro invece riesce bene e ne escono vincitori. Lo stesso si potrebbe dire di un altro grande gruppo nostrano come i Baphomet’s Blood, che però sono di un livello di gran lunga superiore. Chained Down In Dirt è un disco che amerete se già amate lo speed metal e il verbo ottantiano. Dura solo una ventina di minuti ma è molto efficace e forse anche il miglior lavoro in assoluto della band. Se vi piacciono i Venom, i Bunker 66 fanno per voi. In caso contrario, lasciateli perdere (ma prima sparatevi in testa).