Bull Brigade: Torino brucia ancora
Il Fuoco Non Si È Spento è il titolo perfetto per un disco che ribadisce la voglia di tornare sul ring e indossare nuovamente i guantoni, perché a certe sensazioni non è possibile rinunciare soprattutto se come i Bull Brigade hai lo spirito del combattente nel dna. Siamo andati a bordo ring per intervistare Eugenio prima dell’incontro e quello che segue è il resoconto della nostra chiacchierata.
Avete festeggiato i quindici anni di attività, un traguardo importante che immagino vi avrà portato a ripensare alla strada fatta e a cosa è successo in questo periodo alla band e ai suoi componenti. Vi va di condividere con noi quali sono state le tappe e i momenti più importanti di questa esperienza?
Eugenio (voce): Ci capita spesso di pensare a tutti gli accadimenti di questi quindici anni, ai momenti felici ed a quelli più difficili. Sicuramente l’uscita del nostro primo disco è stata una delle svolte più importanti della mia vita… al contrario l’infortunio di Strasburgo, dove mi sono procurato la rottura del ginocchio durante un concerto, è stata un’esperienza davvero traumatica per tutta una serie di motivi.
Per celebrare la ricorrenza, questa estate avete portato in giro un tour acustico, che effetto vi ha fatto tornare sui palchi dopo il lockdown e come avete affrontato questa esperienza particolare?
Dopo tutti questi mesi di assenza dai palchi avevamo una voglia matta di riprendere confidenza con il pubblico e con gli show. È stata un’estate incredibile e suonare in acustico ci ha dato moltissime soddisfazioni. I concerti sono andati tutti alla grande, sia dal punto di vista dei numeri sia dal punto di vista della soddisfazione generale dei nostri fans che abbiamo percepito ad ogni concerto.
Avete già cominciato ad organizzarvi per promuovere il nuovo album con un tour “elettrico”? Come vedete la situazione concerti e le conseguenze di questo periodo di stop forzato?
C’è estremamente bisogno di far ripartire il settore dello spettacolo, ma dall’estero stanno già arrivando i primi segnali incoraggianti. Sinceramente è difficile capire quali saranno le conseguenze di tutti i vari stop che hanno colpito e vessato il nostro mondo. Speriamo che tutte le realtà, grandi e piccole, riescano a trovare il modo per superare questa tempesta.
Ricordo quando vi ho visto dal vivo al Venezia Hardcore e quel tipo di vicinanza e unione tra voi e il pubblico che oggi appaiono così distanti, quindi mi viene da chiedervi se pensate che la scena risentirà in qualche modo di questa pandemia anche a livello di rapporti umani.
No, io sono convinto che la scintilla che scatta nel cuore di un ragazzo sotto al palco sarà sempre la cosa più difficile da contenere ed arginare… è proprio questo il bello della musica.
Rimanendo sul tempo che passa, il disco è stato anticipato dal singolo “Quaranta” e nell’intero album sembra che il tema ritorni più volte, come è nata la canzone e che tipo di rapporto avete con lo scorrere degli anni?
È sempre difficile fare i conti con il tempo che passa, un giorno mi sono accorto di essere arrivato a questo traguardo ed ho scritto “Quaranta”. La canzone è nata in maniera molto semplice e naturale, avevo già in testa l’atmosfera che volevo costruire e la carica di malinconia che volevo trasmettere.
Il brano vede ospite Roddy Moreno degli Oppressed, oltre a lui nel disco sono presenti Samall e Fabio degli Arsenico, come sono nate queste collaborazioni?
Roddy era il più adatto ad interpretare la voce “spirituale” che dall’alto faceva un bilancio di questi miei 40 anni, raccontandoli e giudicandoli… siamo amici da una vita ed ha accettato immediatamente di prender parte al progetto. Con Samall c’è un rapporto più intimo e quotidiano: frequento il Veneto da sempre, per motivi familiari, e da sempre sono legato alla città di Venezia ed ai ragazzi che animano i suoi circuiti underground. Con Fabio, invece, ci sono cresciuto insieme (musicalmente parlando) e lui ha lavorato anche alla produzione del nostro disco.
Più in generale, credete che i rapporti umani e l’amicizia costituiscono ancora un elemento fondante della scena o sotto questo profilo le cose sono cambiate negli anni?
Io penso che alla base di tutto ci sarà sempre un rapporto umano, gli anni non potranno mai scalfire questa cosa: parliamo pur sempre di ambiti legati allo svago ed al tempo libero delle persone. A lavoro posso stare insieme a persone con le quali non ho rapporti umani, ad organizzare un concerto non funzionerebbe.
Oltre al singolo, il disco è stato preceduto dal video di “Ultima Città”, un lavoro particolare che si distacca dal classico filmato dal vivo, come è stato affrontare questa esperienza? Come è nata l’idea del video e della storia che racconta?
Cercavamo di realizzare qualcosa che si differenziasse dalle nostre precedenti pubblicazioni. Per fare questo ci siamo rivolti ad una squadra di amici professionisti che hanno messo le loro competenze a nostra completa disposizione. La storia del video è legata al concetto del “ritorno” che abbiamo cercato di esprimere al massimo già all’interno della canzone. Siamo veramente soddisfatti del risultato ottenuto.
YouTube, Facebook, Instagram… com’è il vostro rapporto con i social e la rete? Reputate difficile per una band legata ad un’attitudine di strada e ancorata alla vita reale adattarsi a questo tipo di interazione diciamo “al sicuro dietro un pc”…
Internet, come ogni strumento, ha un’utilità che è direttamente proporzionale all’intelligenza di chi lo usa. Francamente noi lo utilizziamo solo per promuovere la nostra musica ed abbiamo completamente (o quasi) abbandonato tutte le altre questioni… Siamo però fermamente convinti che stare dietro ad un pc non sia affatto sicuro.
Il Fuoco Non Si È Spento rappresenta un ulteriore tassello nell’evoluzione del vostro suono, mantiene inalterato tutto lo spirito e il tratto della band ma allo stesso tempo li arricchisce di alcuni nuovi umori, in qualche modo mi è sembrato meno di pancia e più introspettivo nel suo contenere più sfumature e sfaccettature. Potete riscontrarvi in questa sensazione?
Indubbiamente è un disco del giorno dopo. I Bull Brigade non hanno più “quei 20 anni che non riesci a dominare” e credo che questo si avverta anche nel cambiamento del nostro sound. Sicuramente ci riscontriamo nella tua considerazione.
Una cosa che non cambia con gli anni è il vostro rapporto con Torino, un legame profondo che è parte integrante del vostro dna come band da sempre. In cosa credete che la motorcity sia differente da altre realtà italiane e come credete che abbia influenzato al vostra musica?
Gli anni del boom automobilistico, seppur lontani, hanno inculcato nella nostra gente il concetto di fretta e frenesia… certe cose oramai sono radicate nel nostro carattere: Torino è un vero e proprio mood che ti porterai sempre dentro. Io penso che ci sono canzoni nostre che puzzano proprio di Torino, “Motorcity” è una di queste ma anche “Keep The Faith” o “Vendetta” le sento molto torinesi.
Grazie mille per il vostro tempo, vi lascio spazio per i saluti e le informazioni e i vostri contatti. Speriamo di vederci quanto prima nel mondo reale.
Grazie a voi per questa splendida intervista, ci siamo veramente divertiti a rispondere alle vostre domande.
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