“Buddha Passion” di Tan Dun, 23/11/2023
Roma, Auditorium Parco della Musica.
Tan Dun (Hunan 1957) è un celebrato compositore cinese, Leone d’Oro alla Biennale Musica 2017, Oscar nel 2000 per film “La Tigre ed il Dragone”, cresciuto nella conoscenza e nel rispetto della tradizione sciamanica della Cina centrale, studi di violino e composizione al Conservatorio Centrale di Pechino, nel 1986 completa con il dottorato alla Columbia University di NYC il percorso universitario. Il tratto costante del lavoro di Tan Dun è la ricerca di un sincretismo fra la musica classica cinese e quella occidentale contemporanea, anche con l’Opera, sino a lambirne il cuore con J.S. Bach in quest’ultima creazione, “Buddha Passion”, in prima esecuzione italiana per la stagione 2023-24 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Protagonisti del progetto sono sul podio il Direttore Tan Dun, l’Orchestra, il Coro e le Voci Bianche, più sei cantanti solisti e tre musicisti autoctoni (così recita il programma di sala). Ora certo non sta a noi newnoiser sindacare su operazioni dall’intento condivisibile (sotto-testo mio personale: mischiamoci tutti il più possibile!) ma la struttura in due tempi, modalità con cui è presentata l’opera, a noi sembrerà palesemente rilevare una dicotomia estrema e contraddittoria.
Se la prima parte di “Buddha Passion”, suddivisa in tre atti, intende coniugare la mitologia tradizionale della vita del Buddha ad altre religioni e musicalmente dagli archetipi della tradizione classica cinese ai canoni ispirati dall’opera (nella fattispecie a “La Passione”) di Bach, il risultato, per fortuna parziale, a noi sembra aderire alla categoria “mission impossible”: troppo artefatto il risultato, troppo schematiche la partitura e la drammaturgia.
Il secondo tempo, invece, con l’entrata in scena di elementi autonomi come il canto diatonico, la pipa (liuto a manico corto in auge nella musica classica cinese) e lo Xiquin, arcaico cordofono proveniente dalle steppe centrali, va meglio, tralasciando l’idea di citazioni bachiane e trasvolando la grande Orchestra di Santa Cecilia, il meraviglioso coro diretto da Andrea Secchi e noi tutti spettatori in sala verso una musica entusiasmante, potente, dal fortissimo carattere originale, centrata, assorta fra le linee melodiche disegnate dalle voci dei sei straordinari cantanti sotto l’impulso di arie orchestrali totalmente folgoranti per il nostro orecchio eurocentrico, esaltate da momenti intimi e magici come quelli propiziati dall’uso – a simulare la pioggia – di grandi bacinelle d’acqua, “suonate” dai percussionisti discesi dai loro baldacchini ai margini del palcoscenico, e i sassi che i quaranta coristi percuotono nei frangenti più frenetici dell’esecuzione dall’alto del loro loggione.
Si racconta la storia dell’illuminazione del Buddha, in cinese e in sanscrito, traendo ispirazione dalle pitture parietali, raffiguranti migliaia di strumenti musicali, nelle Grotte di Mogao, dove Tan Dun ha trascorso oltre due anni di studio ed osservazione. Ulteriore suggestione per “Buddha Passion” è stato lo studio dei testi in sanscrito custoditi nella biblioteca dell’antica città di Dunhuang, narrazioni degli insegnamenti dell’Illuminato e quando all’apice della trama sonora, nell’atto finale, il coro chiede al Buddha se sia Dio o il figlio di Dio o un messaggero di Dio, semplicemente lui risponde: “no io sono Sveglio”, l’emozione è tangibile nell’Orchestra e fra il pubblico.
Tan Dun ha intessuto la sua musica coi temi dell’evoluzione spirituale e della salvaguardia dell’ambiente e con lavori come “Nine Songs” (1990) e “Ghost Opera”, commissionatagli dal Kronos Quartet nel 1994, ha raggiunto apici creativi estremi, continuando oggi nella sua ecumenica quanto encomiabile ricerca compositiva siamo certi possa trovare la quadra del cerchio con opere musicalmente ancor più riuscite nel focalizzare il comune substrato profondo dell’Essere Umano.