Buck Curran, musica che accade
Buck Curran è un chitarrista/autore proveniente dal Maine, che da qualche anno si è ristabilito in a Bergamo. Dal 2006 realizza musica a nome Arborea insieme alla ex moglie Shanti: gli Arborea sono uno scuro duo folk psichedelico in grado di ridisegnare le coordinate di un genere tanto vasto quanto settoriale, ampliando la visione di scrittura verso paesaggi ignoti. Dal suo trasferimento nella penisola italiana ad oggi il musicista (e liutaio artigianale) ha intrapreso un viaggio personale di scrittura, che sfiora le arie già respirate nel suo progetto precedente, e che traspone le necessità di libertà compositiva in un campo più ampio, disseminato di ombre e luci sommesse. Ho avuto il piacere di fare con lui questa chiacchierata telefonica in una uggiosa domenica mattina di aprile…
Buck Curran: Scusami Davide, mi dividerò tra te e Francesco (penultimo figlio di Buck e Adele, moglie ed artista a sua volta, ndr) che sembrerebbe non voler smettere di provare accordi al pianoforte.
Figurati, è un piacere avere un po’ di sottofondo.
Ha quattro anni e sta sviluppando già una notevole passione per i tasti…
Come stai vivendo questi tempi complicati?
Ho bisogno di spazio, sono alla costante ricerca di spazio. Ho bisogno di muovermi per sviluppare creatività, non posso farmi dei giri nelle quattro mura domestiche per sopperire a questa mancanza.
Ho bisogno di fare escursioni, stare all’aperto. Appena ne ho l’occasione, amo fare passeggiate nella zona dove Papa Giovanni studiò. C’è un bellissimo percorso da fare, è pieno di energie creative da assorbire, da respirare. Quando respiri diventa più facile creare e comporre.
A Bergamo sono morte tante persone a seguito del COVID19.
Purtroppo non tutti sono consci, le mascherine sono funzionali ma c’è una contraddizione, per proteggersi da un virus bisogna ridurre la propria capacità di respirare, il che comporta ripercussioni, sia fisiche che mentali.
Pratico una personale visione della meditazione, che prende ispirazione da varie scuole di pensiero. E la meditazione, che di per sé è basata sul respiro, diventa una parte importante del suonare.
Il 4/20/20 (20 Aprile 2020, numerologicamente ‘4’ e ‘20’ sono l’omologo cannabinoide di ‘666’ per i satanisti, ndr) ho smesso di fumare, cercando di essere consapevole, prendendomi cura dello spazio mentale, cercando un nuovo modo di essere presente. Mi sono sentito in colpa verso il mio corpo e la mia mente per quanto ho fumato.
Fino a qualche anno fa ti sei dedicato anche alla realizzazione di chitarre, è un progetto che hai accantonato o che pensi possa riprendere?
Nel 2009 ho smesso di costruire chitarre. Le motivazioni sono quelle presumibili: assenza di tempo e di spazio.
In Italia ci sono parecchi legni pregiati, e nei piani ci sarebbe di trasferirsi con Adele e i bambini nella campagna toscana, prendere una cascina dove poter riprendere il discorso lasciato aperto oltreoceano.
Mi piacerebbe sperimentare con progetti e design della tradizione italiana.
Quali tipi di legno preferisci?
Nel 2007, ai tempi del Riverfest in Maine, Glenn Jones ed io abbiamo trascorso parecchio tempo insieme a parlare, provando diverse chitarre. Ho avuto il piacere di suonare una chitarra di legno australiano, una chitarra modesta. Il legno scuro australiano è simile al koa (un tipo di acacia) ma maggiormente denso, leggero ma molto solido, come palissandro o mogano. Nonostante non fosse una chitarra eccelsa, aveva delle proprietà molto interessanti. In generale preferisco la densità dei legni scuri. Più grandi si costruiscono le casse armoniche, più difficile è mantenere il focus sulle frequenze alte, quindi preferisco dimensioni ridotte, se così si può dire. Amo le Martin, che mi fanno subito pensare a Robbie Basho.
Come ti rapporti con i media? Qual è il tuo modo per scoprire nuovi suoni?
Gli algoritmi di YouTube per dirne uno, spesso mi è capitato di entrare in contatto con musicisti che non conoscevo e che ho iniziato a seguire. Per esempio, grazie all’NPR Global Music Festival ho conosciuto e mi sono innamorato di Nora Brown, una giovanissima performer di banjo, straordinaria. C’è una significativa quantità di artisti interessanti, una nuova generazione di giovani che hanno deciso di suonare in acustico a livelli molto buoni.
Come sono cambiati negli anni le gestioni dei contatti, il lavoro di PR e più in generale le questioni “non musicali” associate alla musica?
Essere artisti indipendenti ti porta a dover lavorare sul tuo “brand”.
Lavoro costantemente per mantenere una certa rilevanza e continuità, ma mi risulta spesso alienante. Diciamo che cerco di vivere con la musica, di farla funzionare.
Qualche anno fa era più facile in un certo senso: con gli Arborea, per esempio, a seguito dell’uscita del cartellone del Green Man Festival abbiamo avuto un sacco di contatti spontanei, che ci hanno permesso di costruire un tour intorno al festival.
Quali nomi contemporanei ti senti di aggiungere alla schiera di musicisti che si esprimono, se così si può definire, con tecniche free-hand style guitar?
Dopo aver avuto la fortuna di assistere a dei concerti dal vivo di Jack Rose, il livello di riferimento è ovviamente alto. Ci sono comunque dei talenti cristallini, che seppur con differenze sento di menzionare. Gwennifer Raymond per esempio. Lei dal vivo è selvaggia, ha una potenza fuori dal comune, che in certi frangenti mi ha ricordato Jack. E assolutamente Dan (Daniel Bachman, ndr); non li paragono, sono diversi tra loro, ma hanno entrambi dei momenti di furore che contrastano la calma e hanno grande capacità performative. Daniel è probabilmente più dinamico.
Cosa ne pensi del suonare acustici?
È un concetto radicale essere musicisti acustici al 100%. Dovremmo fare crociate in supporto della musica acustica, del suo ascolto. La musica acustica può essere un’ottima musica ambient.
Ti va di parlami di No Love Is Sorrow, il tuo ultimo lavoro?
È il primo album in cui registro parti di pianoforte. È stata una bella sfida. Mi ha aiutato a “vedere” schemi differenti: i pianoforti dopotutto, sono come gigantesche chitarre, puoi anche fare bending sulle note se li apri.
Uno dei brani che preferisco è “Marie”, che è stato molto facile e spontaneo nella registrazione, è stato fatto in quattro take. È un brano al quale sono molto legato, Marie era mia nonna.
È un pezzo basato sullo stesso pattern, ma che ha evoluzioni di intenzioni, di spazialità e di profondità di esecuzione… mia nonna Marie morì l’anno scorso. Nel novembre del 2019 cadde cercando di salvare un gatto e si ruppe le vertebre lombari. Purtroppo le cose andarono veloci e male. Se ne andò in una giornata con le colombe fuori dalla finestra. La canzone mi è arrivata naturalmente, come “Blue Raga” e “Ghost On The Hill”, altri brani buttati con rapidità. Mi è sempre capitato, la maggior parte della musica che scrivo è come se “succedesse”, “accadesse”.