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BRUME, Mother Blast

È ragionevole parlare di un’identità tra Christian Renou e la sua creatura Brume, quasi che quest’ ultima fosse una sorta di subconscio sonoro che lavora costantemente il francese dal suo interno. Messo in pausa il suo progetto principale a inizio millennio, Renou ha attivamente cercato di distaccarsi dal sound che lo ha fatto conoscere, ma – nonostante la volontà di intraprendere nuovi percorsi – Brume ha ripreso autonomamente vita nel 2008, curiosamente trent’anni esatti dopo le sue prime, rudimentali, prove tecniche di trasmissione.

Mother Blast alterna brani recenti a rimaneggiamenti di materiale più vecchio, accomunati da un’estetica da paranoia nucleare tanto cara agli appassionati dell’industrial. Sin dal primo ascolto, per quanto viziato dall’iconografia di cui sopra, emerge un sottotesto decisamente più interessante, quasi un sentiero nascosto tra ciminiere e le rovine di Hiroshima: l’album può essere interpretato come una narrazione personale e diacronica del secondo Novecento, in cui il filo conduttore è la Storia della Tensione, che qui emerge come precipitato delle vite e dei fatti visionati. La lettura degli accadimenti mette in luce una ricorsività nel loro svolgimento, come se la storia di quei cinquant’anni assomigliasse a un’onda generata dai movimenti della paura. Brume articola il proprio punto di vista come un discorso indiretto corale, dove emozioni, suoni e voci sono stratificati e rigiocati da un senso di minaccia imminente che condiziona, distorce e interpreta.

Nell’eterogeneità della scrittura musicale possiamo intravedere la biografia dell’autore, che dagli esordi ad oggi è riuscito a parlare la lingua dell’elettronica e dell’elettroacustica senza mai volersi integrare in alcuna scena o movimento, ripensando sempre le tradizioni musicali che ha incontrato sulla sua strada: in un batter d’occhio sa permutare illbient, jazz depravato ed episodi che stanno a metà tra il terrore puro e un pomeriggio passato con Muslimgauze sotto metanfetamina. La sensazione di profonda irrequietezza che ricaviamo dall’ascolto è dovuta alle correnti sotterranee che attraversano i brani: ogni elemento del racconto vaga in preda al panico, però magistralmente imbrigliato in un quadro di forze a sommatoria zero che si risolve in un’atmosfera di apparente staticità, come una sorta di Guerra Fredda in miniatura.

Quello che realmente Mother Blast ci lascia è l’esperienza della solitudine di una vita qualsiasi vissuta quando i legami interni alla società hanno iniziato a dissolversi, costringendo ogni individuo a vivere lo iato tra lo spazio fisico e quello emotivo che lo separano dagli altri suoi simili.

Tracklist

A1. “Little Boy” Pilot (2014)
A2. Mother Blast (2014)
B3. Enola II (2014)
B4. Ersatz Stellungen (1997 revised 2014)
B5. Sluggy Tango (2013)
B6. Rawa Ruska (1985 revised 2014)
C7. Keep On Trucking (2014)
C8. Permafrost #3 (1988 revised 2014)
C9. Another Killing Age (2014)
C10. Victorian Washing Machine (2014)
D11. Wish You Were Not Here (1999 revised 2014)
D12. Panzerfaust (1988 revised 2014)