BRÖTZMANN, Münster Bern
Peter Brötzmann è l’europeo tormentato dall’anima tutta pieghe, che cammina attraverso il suo tempo senza nascondere alla propria arte le anse ombrose della vita.
Nato a Remscheid qualche anno prima della Seconda Guerra Mondiale, decide di far saltare il tavolo nel 1968, quando ormai il Muro di Berlino esisteva da sette anni e l’esercito americano sparava il diserbante sui bambini vietnamiti. Il jazz allora diventa pretesto per mimare un mondo crudele e violento. Il tuono della mitraglia, le urla e il pianto disperati dei giovani europei senza futuro vengono così affidati a un’orchestra di piombo, oliata come una macchina pronta a fare fuoco. È un manipolo di lumpen incazzati e anarcoidi che insieme allo stesso Brötzmann di lì a poco capotterà la musica europea cosiddetta colta: Willem Breuker, Evan Parker, Fred Van Hove, Peter Kowald, Buschi Niebergall, Han Bennink e Sven-Åke Johansson. Sono l’ottetto di Machine Gun e saranno il nucleo base che darà il via alla Globe Unity Orchestra.
L’influenza di questi nomi sulla musica contemporanea e sulle generazioni future sarà devastante, in particolare credo che nessun musicista europeo possa suonare come Peter Brötzmann. Lui i sassofoni li piega, come se il metallo fosse fuso a contatto con il respiro. Anzi, non fuso: congelato. Ha un modo così crudo di suonare che anche quando passa un po’ di Sonny Rollins, tra le ance del tedesco la lingua afroamericana suona isterica per la severa dieta di DDR, e pure più incazzata, persino nei momenti più cool. Quel suono è un idioma a sé, tanto che te lo puoi mettere in un taschino e portarlo dietro per sempre, come una cucitura, quel suo stile che è tutto contorsioni e rilanci e ti si incolla addosso, alternando stati di angoscia e paura ad esplosioni brutali ma precise quanto una rasoiata.
A proposito di cosa suona e perché, ebbe a dire: Per salvarci abbiamo inventato una musica diversa, dove poter ricostruire urlando la nostra fratellanza perduta. La nostra è una Europa del suono, senza confini.
Sì va bene, ma il disco in questione? Cosa volete che dica ancora senza rovinare tutto, più di quanto non abbia già fatto? Questo Münster Bern è stato registrato il 27 Ottobre 2013 al festival per la musica improvvisata »zoom in« nel monastero di Berna. Ascoltandolo potrete trovarci tutta la sua vita, perfino meglio che altrove, se dovessi consigliare un (difficile) punto di partenza. C’è un vecchio nervoso all’in piedi come faceva tanti anni fa con la sua orchestra micidiale, ma è solo con i suoi fiati. Il sassofono urla come se lo avesse immerso nelle fiamme, poi scende, sussurra ma è un attimo e passa al tarogato. Sa inchinarsi per risalire.
Il solo è il modo migliore per sentire l’alito e il polso di Peter, la sintesi di cinquant’anni di musiche altre che splende nella sua lingua solitaria.
Qui non servono più applausi. Chapeau, Peter.
Tracklist
01. Bushels And Bundles (16.14)
02. Crack In The Sidewalks (18.49)
03. Move And Separate (14.02)
04. Chaos Of Human Affairs (12.42)
05. The Very Heart Of Things (06.11)