Customize Consent Preferences

We use cookies to help you navigate efficiently and perform certain functions. You will find detailed information about all cookies under each consent category below.

The cookies that are categorized as "Necessary" are stored on your browser as they are essential for enabling the basic functionalities of the site. ... 

Always Active

Necessary cookies are required to enable the basic features of this site, such as providing secure log-in or adjusting your consent preferences. These cookies do not store any personally identifiable data.

No cookies to display.

Functional cookies help perform certain functionalities like sharing the content of the website on social media platforms, collecting feedback, and other third-party features.

No cookies to display.

Analytical cookies are used to understand how visitors interact with the website. These cookies help provide information on metrics such as the number of visitors, bounce rate, traffic source, etc.

No cookies to display.

Performance cookies are used to understand and analyze the key performance indexes of the website which helps in delivering a better user experience for the visitors.

No cookies to display.

Advertisement cookies are used to provide visitors with customized advertisements based on the pages you visited previously and to analyze the effectiveness of the ad campaigns.

No cookies to display.

BROTHERHOOD, Oak

Il suono come un albero secolare sotto il quale trovare riparo e invocare le divinità che stanno oltre le parole.

Ha un che di rituale e di pre-alfabetico questo buonissimo lavoro del duo Brotherhood, composto dai fratelli Bondesan: Tobia (sax tenore e soprano) e Michele (contrabbasso). Un clima austero, denso di veglia, di attesa. Economia di mezzi che non si traduce in povertà espressiva ma anzi fa risaltare le idee messe in campo, che parlano una lingua che nulla ha di inaudito ma sa colpire per la potenza, la sensazione di verità, di urgenza che trasmette. Dubbi, dialoghi, ipotesi, parentesi: un vagare circospetto tra ombre, rovine, apparizioni, premonizioni. Rituali sul bordo del silenzio con il profilo di Steve Lacy ad annuire sornione. Una musica densa e scarna, sghemba, che pone domande invece di dare risposte. Ci porta in posti che sappiamo ma non sappiamo riconoscere, facendoci sperimentare ancora una volta il brivido dell’immersione nel liquido amniotico del suono. Acqua, respiro, pulsazione, ventre: da quell’intimo mare veniamo e alla stasi minerale delle ossa torneremo. Passando su questa terra come ombre, nella foresta dei significati, inseguendo e venendo inseguiti. Intanto, invece che usare le parole che spesso vogliono dire poco meno del nulla da cui tentano la vana fuga, emettiamo suoni, come una preghiera laica ed ancestrale.

Molto bello l’artwork di Nicola Guazzaloca. Un disco da ascoltare al crepuscolo, quando finalmente le nostre intenzioni verranno sconfitte dal buio che avanza.