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BRANT BJORK, 18/10/2017

Brant Bjork

Ravenna, Bronson.

A un mese dall’uscita di Europe ’16, primo album live registrato a Berlino durante il tour europeo del 2016 e ultimo di una trilogia pubblicata da Napalm Records, Brant Bjork (Kyuss, Fu Manchu, Vista Chino, Ché e bandleader nelle varie incarnazioni da solista) arriva a inaugurare la stagione dei concerti indoor del Bronson con la seconda tappa italiana del suo The Gree Heen Tour. Quello di Brant Bjork non è di certo un nome che può lasciare indifferenti: musicista coerente e fortemente ancorato alla scena stoner rock californiana, fatta di jam interminabili e party hard ben oltre il limite della legalità sotto il sole di Palm Desert; pioniere di un sound robusto, figlio della lezione dei primi anni Settanta e pieno di ideali allucinazioni perverse. In Europe ’16, album fedele all’esperienza live di una straordinaria carriera quasi ventennale, si può percepire tutto questo, ma quando si presenta la possibilità di goderne in prima persona… che fai? Non vai a sentirlo?

Sean Wheeler

Non posso negare di aver fantasticato su una sua miracolosa apparizione lungo le strade brumose che circondano il locale durante questa stagione; magari con un burrito in una mano e la birra nell’altra. Purtroppo non è andata così. Sono appena trascorse le 23 quando Brant Bjork si presenta sul palco in compagnia di una backing band che non è la Low Desert Punk Band, sebbene i musicisti siano praticamente gli stessi. Abbiamo Bubba DuPree (Void) alla seconda chitarra, Dave Dinsmore (Ché) al basso e alla batteria Ryan Güt anziché Tony Tornay (Fatso Jetson). L’inizio del concerto è segnato da “Stackt” ed è immediato come la squadra risulti di una compattezza unica: bassi saturi, bordate di chitarra old school, un drumming sicuro e robusto. Quello che ci arriva dritto allo stomaco è un blues rurale, arricchito da atmosfere latin e una buona dose di psichedelia, il tutto al servizio di brani ora più potenti, come nelle successive “Controllers Destroyed” e “Buddha Time (Everything Is Fine)”, ora più distesi come in “Humble Pie”, miraggio psych lungo le aride strade californiane.

La scaletta prevede per lo più brani tratti da Black Flower Power (2014) e Tao Of The Devil (2016), ma non mancano le centrifughe di riff presenti in “Jalamanta” (1999), disco dell’esordio da solista, e il groove lisergico di  “Dirty Bird” e “The Future Rock” da “God And Goddesses” (2010), in chiusura insieme a “Freaks Of Nature” (Somera Sòl, 2007). Più che rilevante qui la presenza di Sean Wheeler (Throw Rag), comparso anche a metà set. Non appena sale sul palco, capisco il motivo per cui è stato designato come special guest di questo tour. Wheeler è la leggenda di Palm Desert, uno degli eroi di Brant Bjork (“consulente spirituale”, a detta sua), ma è anche uno showman folle e sgangherato. Lo vediamo contorcersi con il cavo del microfono attorcigliato intorno al collo; scatenarsi in strane movenze tribali nel lungo mantra di “Dave’s War” e inginocchiarsi ululando rivolto verso il pubblico. I always say this band brings a feeling. The feeling is always primary and the sound, secondary, sostiene Bjork, e io confermo e sottoscrivo, perché più che un concerto ora la serata sembra aver preso una bizzarra piega da rituale sciamanico, un esempio raro di musica che incanta e seduce per la naturalezza con cui riesce ad esprimere pulsioni dannatamente vere.

Grazie a Marco Mosti per le foto.

Setlist

Stackt
Controllers Destroyed
Buddha Time (Everything Fine)
Humble Pie
Too Many Chiefs…Not Enough Indians
The Greeheen
Stokely Up Now
Dave’s War
Biker #2
Lazy Bones/Automatic Fantastic
Let The Truth Be Know
Low Desert Punk

Encore

Dirty Bird
The Future Rock
Freaks Of Nature