BONG-RA, Monolith

Monolith

Jason Köhnen, dj affetto da bulimia, torna col suo moniker più famoso. Se Kilimanjaro Darkjazz Ensemble, Mount Fuji Doomjazz Corporation e White Darkness sono tutti progetti in qualche modo “downtempo”, Bong-Ra non ha regole ritmiche. In Monolith sentiamo breakbeat, drum’n’bass e poi – verissimo – si va anche più piano, con una specie di “dub-bong-ra-step”. Il tutto è messo al servizio dell’eclettismo sonoro delle tracce. La prima metà di Monolith vede Jason collaborare con Sole (Anticon): non sappiamo se si siano incontrati in qualche modo in passato, ma i due sembrano suonare assieme da sempre per come il rap politico/apocalittico si integra alla perfezione con le basi, con i pezzi che finiscono ovviamente per sembrare più legati all’hip hop del solito (un hip hop con Scorn come “producer fantasma”, spesse volte). Non la novità del 2012, ma una ventina di minuti ben spesa.

Nella seconda metà di Monolith accadono tre cose: niente più testi a suggerire l’impostazione ideologica del disco, c’è una netta accelerazione e si ibridano i pezzi col primo amore di Jason, quel metal che – si sa – non muore mai (guardate la copertina). “Dawn Of The Megalomaniacs” è a mezzo passo dall’essere kitsch per come flirta con “slayerismi” di maniera (strano, visto il titolo sobrio), “Darkness | Artificial Flesh” è la prosecuzione del tentativo di fondere roba da dancefloor e riff estremi, così come “Crawler”, l’ultimo pezzo, che è preceduto da “Fallen Sons”, un drum’n’bass difficilmente resistibile.

In sintesi: quattro tracce solidissime  e mature, che si spera siano il primo frutto di altre collaborazioni, più quattro giri di giostra non adatti ad ascoltatori troppo chic.